Ecco un’analisi di Luca, dal suo punto di osservazione negli Stati Uniti, sulle implicazioni per i mercati di quanto sta accadendo a livello politico internazionale e delle banche centrali. I messaggi espliciti (e non) di Trump, il periodo elettorale Europeo e molti segnali di diverse fonti, indicano che un passo nella revisione dell’integrazione europea potrebbe essere prossimo: probabilmente il 2018 sarà un anno che ci offrirà importanti novità, delle quali iniziamo a sentire i primi rumori.
Segnali diversi ma “univoci” sulla zona euro
L’elezione del nuovo presidente francese Macron è avvenuta approvando un programma politico esplicitamente indirizzato ad un completamento della struttura a sostegno dell’Unione Europea e dell’equilibrio di lungo termine della moneta che ne unisce una parte.
Il sospiro di sollievo tirato dai mercati per avere visto svanire il rischio Le Pen è stato evidente (puntuale l’Euro ha abbandonato la debolezza che lo caratterizzava da inizio anno).
Al giovane Macron non è stato concesso molto riposo dopo la sua vittoria. Il primo evidente impegno è stato nella stretta di mano da gladiatore in cui è stato coinvolto dalla visita del grande sponsor della perdente Marine: un rigurgito fuori tempo di un’onda che si sta spegnendo? Ascoltando le impressioni da questa parte dell’Atlantico, l’inconcludenza della attuale amministrazione, dalla riforma fiscale, a quella sanitaria, alla politica estera, sembra diventare molto appariscente.
Commentato il folclore, iniziano ad emergere reazioni non trascurabili, spiegateci con linguaggio pacato ma completo da più fonti, la prima delle quali è la usualmente silenziosa (spesso soporifera) Frau Merkel. Dopo gli incontri di Taormina (vertice da alcuni ingiustamente descritto come vuoto), da una birreria Bavarese, Angela Merkel riconosce che gli equilibri geopolitici che toccano direttamente l’Europa stanno cambiando, forse non in modo drammatico (non è mai sembrata la persona che estremizzava o drammatizzava gli eventi), in modo comunque non trascurabile se non altro per l’attendibilità dei partner storici (gli USA di Trump e il Regno Unito della Brexit), la conseguenza che mostra all’Europa la necessità di guardare più sola al proprio futuro.
Meno ascoltate per l’autorevolezza della fonte, ma notevoli appunto per questo motivo, sono da leggere le considerazioni pronunciate da Weidmann il 29 maggio u.s. ad un incontro presso la Bundesbank a Berlino (Deutsche Bundesbank’s Capital City Reception, reperibile e scaricabile anche sul sito della BIS https://www.bis.org/review/r170602a.htm ) dove, non mancando di ripetere come un disco rotto le sue solite considerazioni debolmente motivate, chiude però lasciando intendere anche il suo favore ad una lettura in qualche modo federale dell’evoluzione Europea (assente oggi, ma non contrario, sembrerebbe anche Schauble).
Le pubblicazioni che descrivono un’evoluzione Europea più costruttiva, con anche esplicite indicazioni di preferenza per la gestione dei problemi che ci trasciniamo dal passato (per l’Italia lo chiamiamo debito pubblico) sono sempre più numerose e da fonti abbastanza diversificate (quindi sia Mediterranee che nordiche).
L’elezione di Macron da un lato, l’uscita del Regno Unito dall’altro, sembrano spingere anche la Merkel a guardare ad una Europa diversa da quella che conosciamo già nel prossimo futuro. La ridistribuzione dei voti legata all’uscita del Regno Unito cambia il potere negoziale anche per la Germania, passate le elezioni del paese potremo assistere ad una accelerazione nelle dinamiche politiche continentali, con il potenziale di consolidare il felice momento economico che il continente sta vivendo.
Saremo molto vicini ad un periodo in cui le ipotesi sul nome che sostituirà Draghi alla Banca Centrale Europea si faranno più evidenti, non esiste per ora ragione di vedere ancora (nonostante quanto dice Weidmann) netti rialzi nei tassi di riferimento da parte della BCE. L’accusa fatta alla BCE di avere danneggiato il settore bancario con i tassi bassi non sta in piedi: lo spostamento del lavoro bancario da spread business a fee business è una trasformazione già avviata in precedenza, cosi come la positiva trasformazione dei mercati finanziari continentali in una maggiore presenza del mercato ed una minore presenza della banca nel caso dei finanziamenti al sistema.
In sintesi, il deterioramento politico a cui stiamo assistendo in USA, le prospettive più serene che stanno emergendo per l’Europa e i differenziali di crescita delle due economie (a favore dell’Europa), porterebbero ad invertire la posizione di inizio anno che privilegiava l’area dollaro. La fermezza però della Banca Centrale Europea nel non muovere più di tanto i tassi ufficiali (vedremo presto quali sono le intenzioni relativamente all’acquisto di titoli sul mercato secondario), lascia capire che le oscillazioni di valore tra dollaro ed euro, anche se dovessero vedere un movimento favorevole ad un rafforzamento dell’Euro, ci mostrano una possibilità di movimento comunque abbastanza contenuto (la Fed rimane in fase rialzista, più o meno moderata).
Le chiavi di lettura principali per i mercati saranno quindi date dalla velocita di rialzo che la Fed preferirà e dalla capacità dell’Unione Europea di procedere in una sua migliore integrazione. Nell’attesa, l’ambiente dei tassi di interesse non appare sotto tensione, l’esposizione a selezionati investimenti in settori ciclici sia in Usa che in Europa non sembra sconsigliabile. Continuiamo a gradire una bassa o moderata duration sulla curva del dollaro. Su quella dell’Euro preferiamo rimanere guidati dalle necessità del passivo, con attenta valutazione di alcuni rischi di credito che potrebbero emergere con maggiore evidenza in autunno.