Entriamo in un periodo in cui diventa sempre più importante, per capire come orientare il rischio presente nei portafogli, sapere ascoltare il mondo accademico e la parte di questo più presente nei consigli delle banche centrali. L’attenta lettura dei comunicati da Sintra della BCE e i recenti comportamenti mostrati dalla Fed lasciano capire che il movimento al rialzo dei tassi che abbiamo osservato in questi giorni, accentuato dopo le parole di Draghi, possa avere poco spazio nella direzione finora mostrata: l’estate non è tradizionalmente un periodo da cui i mercati sono in grado di fornire stabili e credibili indicazioni per il futuro. A volte le poche parole di qualche banchiere di lunga esperienza devono rimanere incise come nella pietra: un famoso siciliano di Milano ha cercato si insegnarcelo, e anche in questi giorni qualche segnale è arrivato.
I risultati del sondaggio della Federal Reserve Bank of New York sulle aspettative dei consumatori, raccolto in giugno, mostrano attese per il tasso di inflazione in leggero calo sull’orizzonte di un anno (era atteso 2.6%, sceso a 2.5%), ma in ripresa su quello triennale (recuperando il calo di 0.40% mostrato nel mese precedente, l’attesa precedente era 2.5%, sale a 2.8%). Le attese per il mercato del lavoro e per la situazione finanziaria in generale sono migliorate.
Sulla base dei risultati di questo sondaggio, che rappresenta un tasso di disoccupazione che diminuisce ed un’inflazione che non aumenta, ecco alcune riflessioni personali, riflessioni non documentate, frutto di confronti anche storici recenti che iniziano ad assumere un profilo meglio definito.
Robert Solow 1987 “You can see the computer age everywhere but in the productivity statistics”: l’affermazione di Solow riporta il ragionamento che Greenspan molto probabilmente ha seguito negli anni ’90 quando ha deciso di non alzare i tassi in USA (anche allora l’economia cresceva bene e l’inflazione non reagiva ad un mercato del lavoro che mostrava la piena occupazione).
Stiamo assistendo ad un ripetersi degli anni’90? Se la risposta fosse positiva, non ci dovremmo stupire di leggere che la produttività dei fattori produttivi mostrerà un netto balzo nel prossimo futuro.
Da altre misurazioni leggiamo che la velocità dell’innovazione in atto oggi non è inferiore a quella osservata nel periodo che va dal 1948 al 1973 (il migliore periodo per le economie globali nel secondo dopoguerra).
La principale differenza, oggi rispetto ad allora, sta nella minore velocità che si rileva nel trasferimento dell’innovazione alle diverse imprese, anche all’interno dello stesso settore economico. Allora l’innovazione, da cui discendeva l’incremento di produttività, spostava l’occupazione dal settore secondario al terziario. Oggi l’innovazione si manifesta all’interno del terziario, il più grande datore di lavoro di una economia sviluppata.
Oggi l’innovazione di processo e tecnologica, legata alla diffusione delle possibilità date dalle soluzioni digitali, appare indubbia ma, come nell’affermazione di Solow, non appare nelle statistiche.
Altro mistero è l’inflazione che, con un tasso di disoccupazione ai minimi, non sembra svegliarsi.
Tra i miglioramenti di efficienza raggiunti fino alla prima metà degli anni ’70 e quelli attuali c’è una grande differenza: allora l’economia del mondo sviluppato si spostava dal settore secondario al settore terziario (servizi, in altre parole), mentre oggi la trasformazione è all’interno del terziario.
Appare sempre più chiaro che le capacità di misurazione dei miglioramenti apportati ai nostri processi produttivi, in generale, si sono quanto meno indebolite (misurare gli incrementi di produttività nel settore manifatturiero oggi è anche intuitivamente semplice). Da dove possono nascere gli errori di misurazione?
- la quantificazione dei fattori in ingresso ed in uscita (prodotti) potrebbe non essere correttamente affrontata seguendo approcci tradizionali;
- i ritardi temporali nella reazione ad una innovazione potrebbero influenzare il risultato delle osservazioni non correttamente tarate nel tempo;
- l’innovazione legata a investimenti in tecnologie informatiche potrebbe causare effetti distributivi (e non variare il prodotto totale del sistema);
- l’incapacità di misurare correttamente l’investimento ed il risultato potrebbe condurre i decisori a scelte scorrette.
Gli esempi sopra accennati ci aiutano a capire il perché di un fenomeno che sembra iniziare a mostrarsi con chiarezza: se le misure della produttività si rivelassero veramente carenti, come qualcuno inizia a sostenere, avremmo una risposta al mistero della bassa e stabile inflazione nonostante la piena occupazione già chiaramente raggiunta negli Stati Uniti.
La conferma spiegherebbe perché la Fed ha già abbassato tre volte negli ultimi anni il tasso di occupazione corrispondente alla piena occupazione, confermando implicitamente che la curva di Phillips (che mette in relazione inflazione ad occupazione) si è spostata, non è stabile e potrebbe non essere più attendibile ai fini di gestione della politica monetaria.