Inflazione e recessione continuano a catalizzare l’attenzione e a guidare le dinamiche di mercato. Le banche centrali continuano a dichiarare (e dimostrare) una grande determinazione nella lotta contro l’inflazione. E diversamente dal passato stanno tollerando la debolezza di azioni e obbligazioni e la volatilità nei mercati finanziari. Ma rischiano di scontrarsi con politiche fiscali espansive finalizzate a contrastare gli effetti recessivi di un aumento dei prezzi così forte e repentino, che stiamo già vedendo nell’area euro e in UK, e che potrebbero vanificare i loro sforzi.
Le dinamiche dei prezzi, con la riduzione delle pressioni della componente energetica e l’aumento di quelle della componente “core”, depurata da alimentari ed energia, lasciano ipotizzare una stabilizzazione nei mesi a venire, seguita da un’inversione di tendenza nel 2023 grazie al successo delle politiche monetarie restrittive. E in questo senso va letta positivamente la stabilizzazione dei breakeven rates (che incorporano l’inflazione attesa dalle obbligazioni inflation linked ed i rendimenti nominali).
Ma è preoccupante l’aumento dei rendimenti obbligazionari causato, oltre che dalla retorica dei banchieri centrali, anche dalla turbolenza innescata dalla presentazione della politica fiscale del nuovo governo UK e, in generale, da una crescente incertezza. Questo aumento ha determinato una crescita significativa dei rendimenti reali: l’aumento di 75 bp di quelli decennali americani è uno dei più significativi e rapidi degli ultimi 10 anni.
E la crescita dei rendimenti reali ha accelerato il riprezzamento di tutte le asset class.
Ad oggi, per quanto doloroso, il movimento è ancora inquadrabile come riprezzamento dell’eccesso valutativo indotto dalle politiche monetarie straordinariamente espansive degli ultimi anni. La correzione dei mercati azionari, indubbiamente significativa, è inferiore a quella vista in altri eventi ciclici, come le recessioni del 1974-1975 o del 2008-2009. E, tenuto conto delle prospettive di crescita ed inflazione, i rendimenti decennali dei titoli governativi sembrano oggi più coerenti rispetto a quelli del 2020 e del 2021.
Seguiamo con attenzione l’evoluzione delle dinamiche dei mercati valutari, che potrebbero presentare dei disallineamenti tali da destabilizzare le economie dei paesi le cui divise sono più sotto pressione, in particolare per la forza del dollaro. DI recente si è ricominciato a parlare di interventi delle banche centrali a sostegno delle loro divise (la Bank of Japan è intervenuta a sostegno dello yen dopo molti anni di “ufficiale” inattività) e non escludiamo un’intensificazione del dibattito, e degli interventi, nelle settimane a venire.
Nel portafoglio abbiamo mantenuto un profilo di rischio basso, aumentando la liquidità del 5%.
Abbiamo ridotto l’esposizione azionaria netta del 14% (+1% la lunga, -15% la corta), riducendo l’esposizione agli USA (-5%), all’Europa (-1%) ed al MSCI World (-10%), riducendo in particolare, a livello settoriale, il peso del real estate (-1%), di comunicazioni e industriali (-3% ognuno) e dei finanziari (-4%). Nelle obbligazioni abbiamo aumentato il peso dei governativi americani con scadenza entro due anni (+4%). Nelle materie prime abbiamo ridotto l’oro (-6,5%) ed il petrolio (-2%). Nelle divise abbiamo ridotto l’esposizione a dollaro (-17%) sterlina (-14%) ed euro (-6%) a fronte di un aumento di franco svizzero (+20%) corona norvegese (+8%), corona svedese e dollaro australiano (+3% ognuna).