L’ottimismo di fondo che aveva caratterizzato i mesi di luglio ed agosto sembra avere lasciato spazio ad una valutazione più realistica dello stato di salute dell’economia mondiale, con il venir meno di alcuni dei fattori che di recente hanno supportato la propensione al rischio. Sul fronte della pandemia si è registrata una preoccupante ripresa dei contagi e dei decessi, con il conseguente aumento dei timori per le conseguenze economiche di nuove restrizioni ai movimenti delle persone; nella maggior parte degli indicatori di salute dell’economia si è delineato un quadro in cui i dati, pur in ripresa rispetto ai livelli di marzo ed aprile, restano al disotto dei livelli di inizio 2020 e ben lontani da una situazione di normalità; dall’andamento del mercato del lavoro è apparso evidente che, tornata attiva la metà di coloro che durante il lock down avevano perso l’occupazione, la velocità e la probabilità con cui l’altra metà si ritroverà in una situazione di normalità sono in netto calo, mentre è aumentato il numero delle aziende che avviano severi piani di ristrutturazione e tagli occupazionali.
In questo scenario, ed a conferma di un approccio più attento alla realtà dei fatti da parte degli investitori, le azioni hanno registrato la prima correzione dopo mesi di rialzi, il dollaro si è rafforzato sui cross principali e le materie prime (preziose, industriali ed energetiche) hanno interrotto la tendenza rialzista. Sul fronte dei rendimenti obbligazionari si è registrato un moderato aumento dei rendimenti reali a causa di tassi nominali stabili e riduzione delle aspettative di inflazione.
Le prossime settimane saranno importanti per valutare se l’elevata liquidità presente sui mercati e l’assenza di alternative all’investimento in azioni e materie prime indurranno gli investitori a vedere il bicchiere dell’economia mezzo pieno, e quindi ad approfittare delle recenti correzioni per ricominciare ad investire nei temi che hanno dominato gli ultimi mesi, o se i segnali provenienti dall’economia faranno prevalere la percezione del bicchiere mezzo vuoto, ponendo le basi per un ri-prezzamento al ribasso del rischio.
Siamo inclini a pensare che la prosecuzione del rialzo nei mercati azionari non possa prescindere dalla forza di nuovi temi, vale a dire da una rotazione verso i settori oggi meno “attraenti” dal punto di vista macroeconomico ma probabilmente più interessanti in un’ottica rischio rendimento di medio periodo.
Con queste premesse la nostra impostazione operativa continua ad essere caratterizzata da un portafoglio modello pienamente investito in azioni, obbligazioni e materie prime, con diverse misure di protezione dal rischio attraverso coperture sugli indici azionari e sulle posizioni nelle divise extra euro, che oggi rappresentano le due fonti di rischio principali del portafoglio modello. Pensiamo che questa impostazione rappresenti l’unica alternativa al mantenimento di un portafoglio completamente liquido e destinato a generare rendimenti per definizione negativi alla luce della remunerazione fornita da liquidità ed obbligazioni governative di qualità. Ma partiamo dal presupposto che una asset allocation equilibrata e con un profilo di rischio moderato, come nella filosofia del portafoglio modello, non possa prescindere dalla selezione degli investimenti effettuata prevalentemente sulla base della sostenibilità delle valutazioni.
Abbiamo aumentato la componente azionaria, incrementando l’esposizione netta (+10% dal 54% al 64%) prevalentemente con acquisti di azioni europee, con un marginale aumento dell’esposizione lorda (+6% la componente lunga e -4% quella corta). Abbiamo aumentato l’esposizione ai consumi discrezionali (+5%), a consumer staples e farmaceutici (+4% ognuno) ed a materiali ed industriali (+2% ognuno), aperto una posizione corta sul comparto energetico (-5%), ridotto l’esposizione a comunicazioni (-5%), tecnologia (-4%), finanziari (-3%) ed utilities (-1%).
Abbiamo aumentato la duration complessiva del portafoglio modello da 1,4 a 2,4 anni attraverso acquisti di titoli governativi tedeschi e inglesi (+11%). Abbiamo sostanzialmente azzerato la diversificazione valutaria, riducendola al 3% netto con due posizioni corte (lira turca e dollaro australiano) a fronte di posizioni rialziste di pari entità su dollaro americano e dollaro neozelandese e di posizioni marginali su franco svizzero, corona svedese e danese come conseguenza di investimenti azionari per i quali non abbiamo coperto il rischio di cambio.