Il mese è stato caratterizzato dalla stabilizzazione dei mercati azionari, obbligazionari e valutari e, con un aumento della volatilità, le ultime settimane hanno visto una riduzione dei rendimenti, un recupero delle azioni e un indebolimento del dollaro.
Inflazione e politiche monetarie restrittive per combatterla, recessione e politiche fiscali espansive per contrastarla, e il loro impatto su tassi di interesse, debito pubblico, consumi e investimenti e margini aziendali continuano ad essere i temi alla base delle dinamiche dei mercati finanziari.
L’approccio delle banche centrali sta evolvendo verso un rallentamento della frequenza e dell’entità dei rialzi dei tassi per permettere agli stessi di avere il tempo di impattare l’economia reale in maniera coerente con i loro intenti: in pratica un approccio restrittivo ancora per molto tempo, ma si avvicina la fine dei rialzi ed il raggiungimento del “tasso obiettivo”. La sintesi delle dichiarazioni più recenti delle banchieri centrali è: i prossimi aumenti dei tassi saranno decisi tenendo in considerazione il totale degli aumenti precedenti, l’inerzia con cui la politica monetaria impatta l’attività economica e l’inflazione, nonché gli sviluppi economici e finanziari. Continua peraltro l’incertezza sul livello del “tasso obiettivo”, che per la BCE potrebbe essere più basso di quanto scontato dai mercati nei mesi scorsi, mentre per la FED, sulla base delle ultime dichiarazioni del suo governatore, potrebbe essere più alto. In ogni caso sembra emergere la consapevolezza che, dopo aumenti così significativi dei tassi di interesse, il lavoro dei banchieri centrali diventerà più difficile perché le loro decisioni impattano non solo l’inflazione, sulla quale ad oggi non si vedono gli effetti desiderati, ma anche, e in maniera crescente, la crescita economica ed il mercato del lavoro.
I risultati aziendali evidenziano pressione sui margini. I fatturati delle aziende sono tendenzialmente in aumento, anche a causa dell’inflazione, ma il costo degli input, del lavoro e del capitale tendono ad aumentare più del fatturato. Perché in questo contesto di inflazione anticiclica è difficile trasferire nei prezzi finali tutti gli aumenti dei costi. Le società europee sono impattate, in particolare, dalla forza del dollaro e dall’aumento dei costi energetici. Quelle americane risentono soprattutto dell’aumento del costo del lavoro e dell’effetto “traslativo” del rialzo del dollaro sugli utili realizzati al difuori degli USA.
I mercati obbligazionari reagiscono, più che nel recente passato, alle conseguenze di politiche fiscali con effetti negativi sui conti pubblici. La reazione dei titoli inglesi alla riforma fiscale annunciata e ritirata, che ha portato alle dimissioni del ministro dell’economia e del primo ministro, ne sono stati una chiara testimonianza. L’attenzione potrebbe spostarsi sui conti dei Paesi dell’area euro, che appaiono sotto crescente pressione a causa dell’elevata inflazione, del rallentamento economico e di politiche fiscali espansive volte a mitigare gli effetti del “caro energia”. In questa fase la BCE sembra più concentrata sulle politiche restrittive che sul sostegno del debito periferico e sembra accettare, implicitamente, un allargamento degli spread come conseguenza naturale della fine degli acquisti incondizionati e dell’aumento generalizzato dei rendimenti su tutte le scadenze.
Nel portafoglio abbiamo incrementato il profilo di rischio.
Abbiamo aumentato l’esposizione azionaria netta del 74,5% (+18,5% la lunga, -56% la corta, dove sono state eliminate tutte le coperture attraverso indici azionari). Abbiamo aumentato il peso di MSCI World (+10%), Stati Uniti (+34,5%) ed Europa (+30%), aumentando in particolare, a livello settoriale, l’esposizione a industriali e real estate (+4% ognuno), comunicazioni (+3%), energetici e finanziari (+1% ognuno). Nelle obbligazioni abbiamo aumentato il peso dei governativi Investment Grade (+73%) acquistando titoli statunitensi (+36%) e tedeschi (+37%), con un aumento della duration del portafoglio obbligazionario da 1,9 a 5,5 anni e quella complessiva del portafoglio modello da 0,25 a 4,75 anni. Nelle divise abbiamo ridotto la diversificazione valutaria aumentando il peso dell’euro (+12,5%) e della sterlina (+5%) e riducendo dollaro USA (-7,5%), Yen e franchi svizzeri (-5% ognuno). Sostanzialmente invariata l’esposizione alle materie prime.