All’inizio di novembre avevamo evidenziato come azioni e obbligazioni sembrassero rappresentare due scenari diversi. Nelle obbligazioni un aumento della volatilità, con tensioni di liquidità e flattening delle curve dei rendimenti, testimoniava il possibile inizio di una fase di calo dei rendimenti legato al peggioramento delle aspettative sulla crescita economica e/o al crescere delle tensioni nei mercati finanziari. Nelle azioni, invece, l’elevata liquidità e l’ottimismo sulla crescita sembravano prevalere su fattori potenzialmente negativi quali valutazioni elevate e rischio di delusione delle aspettative alla luce del news flow negativo sulla pandemia.
I movimenti delle asset class hanno progressivamente, ma chiaramente, sancito la correttezza della rappresentazione della realtà fornita dalle obbligazioni. È emersa una situazione di significativa incertezza, sia per i mercati finanziari sia per l’economia, per la quale la nuova variante “Omicron” è stata solo una delle cause scatenanti (non “la sola”). Alla performance negativa delle azioni di tutto il mondo si sta contrapponendo quella positiva delle obbligazioni di maggiore qualità, mentre perdurano le tensioni sugli spread corporate e intergovernativi, e resta elevata la volatilità sia nelle azioni sia nelle obbligazioni.
Il continuo emergere di varianti alla Sars-Cov-2 conferma un concetto importante: la malattia è divenuta “endemica” e realisticamente non sarà sconfitta nel breve termine, sempre che si riesca a sconfiggerla. Il problema è che, a differenza di altre malattie endemiche come le varie forme di influenza, il covid non ha solo impatti significativi sulla salute e sulla vita delle persone, ma anche una serie di conseguenze indirette sull’economia e sui mercati finanziari con cui dovremo convivere a lungo. E le modalità con cui investitori, autorità monetarie e governi affrontano queste conseguenze generano una serie di effetti distorsivi sulle normali dinamiche che legano i mercati finanziari e lo scenario economico in cui si muovono. Effetti distorsivi difficili da “modellizzare”, che contribuiranno ad aumentare la volatilità tipica di tutte le asset class.
È difficile immaginare quanto durerà la fase di “risk off” indotta da Omicron, ma la storia delle altre varianti ci induce a pensare che potrebbe finire presto, magari in concomitanza con notizie positive sui vaccini, e che presto potrebbero presentarsi interessanti occasioni di acquisto nelle azioni e di vendita nelle obbligazioni. Ma per ora l’attenzione resta concentrata sugli effetti delle restrizioni alla mobilità delle persone e delle merci, e sul modo in cui le tensioni sui mercati finanziari potrebbero estendersi a crescita, investimenti delle aziende, mercato del lavoro, scorte e inflazione. E, fattore da non sottovalutare, le scelte di investimento legate all’avvicinarsi della fine dell’anno contribuiscono a mantenere la volatilità su livelli particolarmente elevati.
L’attività di gestione del mese è stata caratterizzata dal mantenimento di un atteggiamento relativamente cauto e dalla progressiva riduzione del profilo di rischio del portafoglio modello.
Abbiamo aumentato l’esposizione alle obbligazioni (da -11% a +2%) attraverso acquisti sui governativi investment grade (+14%) e riduzione della componente emerging markets (-1%), portando la duration del portafoglio obbligazionario da -3 a +0,4 anni e quella complessiva del portafoglio modello da -1 a +0,1 anni.
Nelle azioni abbiamo ridotto la rischiosità complessiva del portafoglio attraverso la riduzione della componente lunga (-32%) e di quella corta (+21%). Abbiamo ridotto l’esposizione netta ai mercati (dal 48% al 37%) vendendo azioni emergenti (-11%) e giapponesi (-10%) a fronte di acquisti sul mercato americano (+7%), europeo (+1%) e nel resto del mondo (+1%). A livello settoriale abbiamo aumentato l’esposizione ai materiali (+2%) e ridotto industriali (-1%), finanziari (-5%) ed energetici (-6%). Nelle materie prime abbiamo aumentato l’esposizione all’oro (+3%). Abbiamo ridotto la diversificazione valutaria rispetto all’euro dal 43% al 31%, soprattutto attraverso la vendita di dollari (-9%) passati dal 27% al 19%.