È proseguito l’aumento dei rendimenti obbligazionari, con un movimento meno significativo rispetto a quello di febbraio. Per quanto coerente con uno scenario di ripresa economica nel 2021 e 2022, il rialzo ha continuato ad impattare negativamente sulle performance delle obbligazioni ed a guidare le dinamiche nelle azioni, con un cambiamento di leadership che ha visto i titoli legati al ciclo ed i maggiori pagatori di dividendi sovraperformare rispetto ai tecnologici ed ai temi “growth” protagonisti del 2020. Stiamo assistendo ad un “riprezzamento” delle asset class, con movimenti significativi per le obbligazioni e parte dei mercati azionari, ma senza particolari tensioni sulle condizioni finanziarie dell’economia, che le banche centrali monitorano con particolare attenzione, pronte ad intervenire per evitarne un peggioramento tale da rallentare o bloccare il ritorno alla normalità post-pandemia.
Pensiamo che questo riprezzamento sia positivo, nella misura in cui i tassi aumenteranno perché le aspettative di crescita vengono riviste al rialzo, e non per i timori di inflazione conseguenti a qualche forma di “shock”: sarà utile per rafforzare i fondamentali delle asset class in cui investiamo. È importante che rientrino gli eccessi che si sono creati nel 2020 e che si riducano le differenze di performance e valutazione tra aree, settori ed asset class vincenti e perdenti a causa della pandemia. Il suo risvolto negativo è evidente nelle performance dei portafogli bilanciati come il nostro, che stanno sottoperformando rispetto a strategie puramente azionarie.
In questa fase i principali fattori di rischio non sembrano provenire dalle dinamiche economiche, ma da elementi che abbiamo più volte evidenziato, che non sottovalutiamo e che continuiamo a monitorare: debito, leverage, livello di esposizione azionaria dei portafogli e capacità di gestire le posizioni di rischio.
In marzo si sono verificati due eventi significativi. La vicenda Greensill Capital, con l’opacità delle sue operazioni di “supply chain financing” ed il ruolo assunto dai fondi di investimento di Credit Suisse Asset Management nel loro finanziamento, è uno scandalo che affonda le sue radici nella liquidazione di un noto fondo obbligazionario di GAM nel 2018.
La bancarotta del family office Archegos, 10 miliardi di asset e 50 miliardi di portafoglio (leva 5!), finanziato da (e costruito con) primarie banche d’investimento, ma smontato all’improvviso per l’incapacità dell’investitore di onorare i suoi debiti, ha generato vendite forzate, con cali significativi dei titoli acquistati a leva e perdite miliardarie per gli intermediari coinvolti.
Non possiamo escludere che esistano numerose situazioni simili, anche alla luce degli elevati livelli di liquidità e dell’evidente aumento della propensione al rischio di investitori non in grado di gestirlo. E di questo teniamo conto, ormai da mesi, nella costruzione del nostro portafoglio modello.
Questi eventi rafforzano due nostre convinzioni. Che nei mercati finanziari esistano aree di rischio non adeguatamente monitorate e presidiate, ed in generale aree “fragili” per colpa delle quali l’emergere di fattori esogeni di rischio, come l’allarme COVID di febbraio 2020, troverebbe le condizioni per innescare un’altra violenta correzione. E che non solo l’asset allocation, ma anche la selezione degli strumenti che inseriamo nel portafoglio modello, rappresentino e debbano continuare a rappresentare i due fattori principali della nostra politica di investimento.
Abbiamo aumentato l’esposizione azionaria netta dal 35% al 66% (in particolare USA ed Europa, +16% ognuna, e azzerata la posizione in Giappone), ma ridotto l’esposizione globale al mercato azionario (-5% la componente lunga, -36% quella corta). Abbiamo aumentato l’esposizione a consumer staples (+8%), utilities (+7%), farmaceutici, real estate ed industriali (+1% ognuno), e ridotto finanziari (-15%), energetici (-6%) e consumi discrezionali (-3%). Abbiamo aumentato la duration complessiva del portafoglio obbligazionario da -2 anni a -1 anno riducendo le posizioni corte su decennali e trentennali europei ed americani. Ed aumentato del 28% la diversificazione valutaria rispetto all’euro, acquistando in particolare dollari USA (+27%) e sterline (6%), aprendo una posizione corta sullo yen contro euro (-6%) ed azzerando la posizione lunga sul CNY.