Il mese entrerà negli annali della storia dell’economia e dei mercati finanziari per un concatenarsi di eventi difficili da immaginare solo poche settimane fa. La pandemia ha indotto le autorità di gran parte dei Paesi del mondo a bloccare i movimenti delle persone, bloccando di fatto le economie e generando una contrazione economica che non ha precedenti in termini di rapidità ed entità.
Il “blocco” del mondo, con il suo carico di incertezze, ha causato estrema volatilità nei mercati finanziari.
Alle normali dinamiche dei comportamenti di azioni, obbligazioni, divise e materie prime in una fase di rallentamento economico, si sono aggiunti tre fattori di ulteriore destabilizzazione: crollo del prezzo del petrolio, peggioramento della qualità del credito e calo della liquidità nei mercati finanziari. Il calo record del prezzo del petrolio, conseguenza della contrazione di domanda per la pandemia e dell’aumento dell’offerta saudita nella nuova “guerra dei prezzi” tra arabi e russi, coinvolge indirettamente i produttori di petrolio americani, fortemente indebitati e tra i maggiori emittenti di debito corporate al mondo. I segnali di crisi provenienti da diverse società hanno innescato forti vendite di debito corporate. L’assenza di compratori ha reso molte posizioni invendibili indipendentemente dai prezzi, ed ha trasferito ulteriori tensioni sulle asset class più liquide: azioni, obbligazioni governative di qualità ed oro sono state oggetto di forti vendite da parte degli investitori di tutto il mondo alla ricerca di liquidità per i loro portafogli.
Abbiamo dunque assistito ad una tempesta perfetta, che ha iniziato a normalizzarsi a fine mese grazie, ancora una volta, all’intervento delle banche centrali, che hanno assicurato il loro sostegno al funzionamento dei mercati finanziari ed alla liquidità di governi, aziende ed investitori. Sono state attivate le politiche fiscali. La maggior parte dei governi mondiali ha presentato misure senza precedenti in termini di entità e rapidità di implementazione: se il “blocco” del mondo non durerà troppo a lungo potrebbero riuscire a mitigarne gli effetti negativi sull’economia.
Il virus ha innescato una recessione globale ed ha innescato alcuni fattori di crisi evidenti da anni agli investitori, ma sempre sottovalutati: livelli record di debito aziendale, illiquidità di diverse aree dei mercati finanziari, eccessiva dipendenza dal dollaro nei finanziamenti internazionali, interconnessione della catena del valore dell’industria e dei commerci internazionali che rende il mondo molto più unito di quanto si tenda a pensare. Tutto si è materializzato nell’arco di poche settimane.
Nell’attività di gestione abbiamo mantenuto l’approccio difensivo impostato alla fine di febbraio, partendo dal presupposto che sta iniziando una recessione i cui effetti sui conti delle società, sui conti pubblici dei paesi di tutto il mondo e sulle “nuove” forme di comportamento della popolazione mondiale saranno valutabili solo nel medio-lungo termine, ma che certamente assisteremo ad una riduzione degli utili aziendali, all’emissione di grandi quantità di debito pubblico per finanziare il sostegno alle economie, ed al peggioramento della qualità del credito di emittenti pubblici e privati.
Abbiamo progressivamente incrementato l’esposizione azionaria dal 10 al 30%, utilizzando la liquidità generata dalle “coperture” del portafoglio nelle ultime settimane, per investire in titoli o settori che più sembrano scontare gli effetti di medio periodo della crisi in atto. Abbiamo aperto una posizione nel settore energetico (+6%) ed aumentato l’esposizione a consumi di base (+2.5%), consumi discrezionali, farmaceutici e materie prime (+1.5% ognuno) riducendo il peso di finanziari (-5%), industriali e comunicazioni (-2%).
Abbiamo ridotto l’esposizione alle obbligazioni governative Investment Grade (-22%) ed a quelle emergenti in dollari ed euro (-1.5%), riducendo di conseguenza la duration del portafoglio obbligazionario da 9,8 a 0,5 anni, e la duration complessiva del fondo da 2,9 anni a zero.
Abbiamo ridotto la diversificazione valutaria rispetto all’euro essenzialmente attraverso la riduzione dell’esposizione al dollaro.