I mercati finanziari continuano ad essere guidati dal tema dell’inflazione, dalle politiche monetarie restrittive e dal rischio che il rallentamento economico in atto si trasformi in una recessione, anche a causa di errori di politica monetaria. Il quadro macroeconomico è in peggioramento, a causa delle politiche monetarie restrittive, del rallentamento della domanda e delle tensioni nella global supply chain. E non stiamo ancora vedendo gli effetti del quantitative tightening. L’inflazione resta elevata perché le aziende stanno trasferendo sui prezzi gli aumenti dei costi, più rapidamente di quanto abbiano fatto nel 2021. E la liquidità nel sistema finanziario continua a diminuire, a causa dell’aumento dei rendimenti, della fine del “quantitative easing” e dell’inizio del “quantitative tightening”.
L’aumento dei rendimenti obbligazionari ha due implicazioni principali: determina flussi in uscita dalle azioni ed in entrata nelle obbligazioni, la cui attrattività è in aumento, e ha innescato un de-rating dei multipli azionari, penalizzando in modo particolare il settore tecnologico, in cui si è creata una bolla valutativa a partire da marzo 2020 con l’inizio della pandemia. Quest’anno le valutazioni dei mercati azionari si sono ridotte, oggi sembrano coerenti con uno scenario caratterizzato da condizioni finanziarie più restrittive, e si trovano su livelli che, in assoluto e relativamente al passato, appaiono interessanti. Ma potrebbero ridursi ulteriormente in considerazione del rischio sulla sostenibilità delle stime degli utili del 2022 e 2023, dell’aumento del rischio di recessione, dell’aumento del costo del debito e dei maggiori rendimenti richiesti per l’investimento in azioni a causa dell’aumento della loro rischiosità e dell’aumentata attrattività delle obbligazioni.
Emerge un quadro negativo per i mercati finanziari, ma alla luce delle recenti performance delle diverse asset class e di “indicatori di sentiment” particolarmente negativi, sui quali storicamente sono iniziate delle fasi rialziste anche se all’interno di trend strutturali ribassisti, riteniamo opportuno mantenere le posizioni sui mercati azionari.
Abbiamo aumentato l’esposizione netta alle azioni dal 24 al 49%, riducendo la componente lunga (-14%) ed azzerando quella corta (+33%), con una riduzione dell’esposizione lorda, e del rischio azionario, del 47%, aumentando il peso delle azioni americane (+17%) e di quelle europee (+8%). A livello settoriale abbiamo aumentato il peso di consumer discretionary (+4,5%), finanziari ed energetici (+2% ognuno), healthcare e industriali (+1% ognuno), riducendo consumer staples (-8%), comunicazioni (-3%), information technology e materiali (-2% ognuno). Nelle obbligazioni abbiamo azzerato l’esposizione ai titoli inflation linked (-6%) e ridotto i corporate investment grade (-2%). Nelle materie prime abbiamo ridotto l’esposizione alla componente industriale (-3%) a fronte di un aumento marginale di quella agricola e dell’oro. Nelle divise abbiamo ridotto l’esposizione al dollaro (-16%) e franco svizzero (-2%) a fronte di un aumento di sterline (+2%).