Il mese ha chiuso un trimestre caratterizzato da eventi straordinari ed elevata volatilità degli asset finanziari. La crisi sanitaria ha indotto un blocco senza precedenti delle economie e generato una forte correzione nei mercati azionari ed obbligazionari, spingendo governi e banche centrali ad intervenire con misure straordinarie a sostegno delle economie e dei mercati. In questi ultimi, rientrati gli eccessi di metà marzo, e dopo una fase di stabilizzazione tra metà aprile e metà maggio, stiamo assistendo a dinamiche che sembrano prezzare un rapido ritorno alla normalità: un rialzo degli indici azionari caratterizzato dalla rotazione dalle aree meno penalizzate dal lockdown a quelle che più ne hanno risentito e realisticamente ne risentiranno nei mesi (forse anni) a venire, il restringimento degli spread del credito anche per gli emittenti di peggiore qualità, e nell’area emergente il recupero delle perdite subite da azioni, obbligazioni e divise.
Difficile giustificare queste dinamiche dalla prospettiva di un’analisi macroeconomica che non vuole sottovalutare le conseguenze della perdita di milioni di posti di lavoro in poche settimane, dei possibili fallimenti di aziende nel mondo dei servizi e dell’industria, delle nuove modalità di comportamento indotte dalla pandemia in consumatori ed imprese, della perdita di reddito disponibile, del rischio di una ripresa dei contagi e dell’assenza di qualsiasi certezza sulla sconfitta del virus in tempi brevi.
A meno della convinzione che il supporto delle banche centrali eviterà comunque una vera crisi finanziaria, e che le misure di politica fiscale dei governi eviteranno comunque una prolungata crisi economica: questo giustificherebbe anche un ulteriore apprezzamento degli asset finanziari da questi livelli.
Ad oggi questa convinzione non ce l’abbiamo, ma non possiamo escludere che nel breve termine resti alla base dello scenario prevalente sui mercati.
Il dato di fatto, che non possiamo non prendere in considerazione nelle nostre decisioni di investimento, è che anche se gli effetti del virus sul GDP mondiale saranno temporanei, gli effetti sui bilanci pubblici e su quelli delle banche centrali, con le implicazioni che stiamo vedendo sugli asset finanziari e sulle loro valutazioni non in linea con i fondamentali, dureranno a lungo.
Continuiamo a pensare che l’uscita da questa crisi passerà attraverso insolvenze private e pubbliche, e vedrà emergere crescenti divergenze sia tra gruppi sociali all’interno dei singoli Paesi sia tra aree del mondo anche vicine tra loro. Tutto ciò, prima o poi, dovrà essere preso in considerazione dai mercati finanziari.
Sulla base di queste considerazioni l’approccio difensivo che ha caratterizzato l’attività di gestione a partire da febbraio ha lasciato spazio, nelle ultime sedute del mese, ad un aumento tattico del profilo di rischio attraverso l’aumento dell’esposizione azionaria, l’aumento della ciclicità del portafoglio e la riduzione della diversificazione valutaria. Le azioni sono passate dal 28 al 50%, con un minimo del 10% a metà mese. Abbiamo aumentato il peso di industriali (+9%), finanziari (+7%), energetici e comunicazioni (3% ognuno), ridotto l’esposizione alla tecnologia (-7%) ed azzerato quella al settore health care (-10%). Abbiamo marginalmente incrementato il peso delle obbligazioni governative (+2%) e dell’oro (+2%). Abbiamo ridotto l’esposizione al dollaro (-20%), al franco svizzero (-6%) ed alla sterlina (-3%), introdotto una posizione sul peso messicano (+2%) ed incrementato l’esposizione globale all’euro dal 50 al 77% (+27%).
L’aumento del profilo di rischio, che per il momento rimane di tipo “tattico” e non strutturale, ha permesso, nelle prime sedute di giugno, di recuperare le perdite della seconda metà di maggio, beneficiando in particolare della rotazione a favore dei temi ciclici e finanziari e della forza dell’euro.