Sul fronte dei mercati finanziari il mese è stato caratterizzato principalmente da tre elementi: gli indici occidentali hanno raggiunto nuovi massimi nonostante l’aumento dei fattori di tensione e della volatilità, le obbligazioni hanno registrato un calo generalizzato dei rendimenti nonostante lo scenario di crescita rappresentato dagli indicatori economici e dai risultati di gran parte delle aziende quotate, e le azioni cinesi hanno subito una violenta correzione dimostrando, per l’ennesima volta, che la politica “gestisce” l’economia ed i mercati, noncurante degli interessi degli investitori, con il fine di perseguire obiettivi di interesse pubblico. Sul fronte della politica monetaria la FED ha confermato di essere pronta a ridurre le misure espansive in considerazione dell’andamento dell’economia, del mercato del lavoro e di dinamiche inflattive che si stanno rivelando meno “transitorie” del previsto, mentre la BCE ha confermato il mantenimento di un approccio espansivo seppur all’interno di uno scenario inflattivo definito “temporaneo” ma rivisto al rialzo. E sul fronte Covid, per quanto l’aumento dei casi in tutti i Paesi sia stato, giustamente, una fonte di preoccupazione, il nesso tra contagi, ricoveri e decessi si è rivelato più debole rispetto alle scorse ondate e, almeno fino ad oggi, non sembra tale da bloccare il ciclo economico ed “agitare” i mercati finanziari.
C’è coerenza in questi movimenti dei mercati? Probabilmente sì. Nonostante il messaggio proveniente dagli indicatori economici e dai risultati aziendali continui ad essere positivo, per quanto con un fisiologico rallentamento dei tassi di crescita che testimonia il passaggio dalla fase di “recupero post pandemia” a quella di “espansione organica”, sta emergendo un quadro che ci induce ad investire con maggiore cautela. Si avvicina il momento in cui verrà meno il supporto delle banche centrali, stanno aumentando sia la frequenza sia l’ampiezza dei ribassi degli indici azionari, ha senso che le obbligazioni ricomincino ad attrarre flussi di capitali alla ricerca di protezione e che stia aumentando la volatilità nelle azioni, nelle obbligazioni e nelle materie prime, conseguenza dell’aumento del livello di “tensione” degli investitori.
C’è un dato che di recente ha attirato la nostra attenzione: negli ultimi 90 anni il tempo medio di recupero delle perdite giornaliere “significative” dell’S&P 500 non è mai stato breve quanto negli ultimi mesi (in questa analisi sono considerate “significative” le perdite di entità superiore a 2 deviazioni standard rispetto ai movimenti medi giornalieri). Ovvero: siamo in una fase di mercato in cui passano mediamente due/tre giorni tra una correzione significativa ed un nuovo massimo dell’indice americano, a fronte di una media di 15 giorni tra il 1995 ed il 2020 e numeri ampiamente superiori negli anni precedenti. Questo dato evidenzia una crescente propensione al rischio, fattore di sostegno per gli indici azionari, e ci ricorda che anni di politiche monetarie espansive hanno falsato le normali dinamiche dei mercati, aumentando il rischio che il ritorno alla normalità (se e quando ci sarà) vedrà l’emergere di potenziali fragilità che dobbiamo tenere in considerazione.
La nostra attività di gestione tiene conto di queste considerazioni. Continuiamo a privilegiare un’impostazione di portafoglio modello in cui le fonti di rischio derivano da azioni, materie prime, diversificazione valutaria e duration negativa, ma abbiamo aumentato le misure di «protezione» contro le conseguenze di cambiamenti improvvisi dello scenario.
Nel corso del mese abbiamo aumentato la rischiosità del portafoglio azionario, aumentando sia la componente lunga (+18%) sia quella corta (+21%), a fronte di una marginale riduzione dell’esposizione netta al mercato (-4%) e della riduzione del 6% del peso dei mercati emergenti come conseguenza del passaggio da +3% a -3% della posizione sulla Cina. A livello settoriale abbiamo aumentato l’esposizione a healthcare, finanziari e tecnologici (+6% ognuno), industriali, immobiliari ed energetici (+3% ognuno) e materiali (+1%), riducendo consumer staples (-12%) e consumer discretionary (-3%). Nelle materie prime abbiamo marginalmente ridotto i metalli preziosi (-1%) per incrementare quelli industriali e, a livello valutario, abbiamo aumentato l’esposizione al dollaro (+9%) chiudendo la posizione sul reais brasiliano (-3%) ed invertendo quella sul renminbi (da +3% a -3%).