Le tensioni geopolitiche hanno contribuito al peggioramento di un quadro macroeconomico che già nella fase iniziale dell’anno evidenziava rallentamento della crescita ed aumento dell’inflazione, ed in cui l’approccio delle banche centrali alla politica monetaria assumeva una connotazione progressivamente più restrittiva, giustificata da motivazioni di natura economica ma penalizzante per i mercati finanziari, abituati da anni a politiche chiaramente espansive.
Nonostante l’aumento della volatilità indotto dal conflitto, nel mese sono proseguite le dinamiche che stanno caratterizzando le diverse asset class dall’inizio dell’anno: forza delle materie prime e debolezza di azioni ed obbligazioni. Le materie prime, in particolar modo quelle industriali, energetiche ed agricole, hanno beneficiato del rallentamento delle forniture dovuto a problemi logistici, sanzioni e diverse forme di boicottaggio. Le azioni hanno recuperato le perdite subite nei giorni immediatamente successivi all’invasione dell’Ucraina, con la sovraperformance degli indici americani rispetto a quelli europei ed emergenti, e gli indici hanno anche beneficiato di una serie di fattori tecnici legati ai ribilanciamenti tra azioni e obbligazioni nei portafogli multi-asset di tutto il mondo, nella fase finale del mese e di un trimestre caratterizzato da movimenti significativi. Le obbligazioni hanno risentito dell’aumento del rischio di recessione associato a quello delle aspettative di inflazione, con volatilità inusuale sia sulla parte breve sia su quella lunga delle curve. E le dinamiche a livello valutario sono state guidate dai differenziali di rendimenti e dalla ricerca di “sicurezza”, evidenziando la forza di dollaro e franco svizzero rispetto all’euro.
Alla luce degli eventi il consenso di economisti ed analisti sta rivedendo al ribasso le stime sulla crescita ed alzando quelle sull’inflazione, con modalità che non tarderanno ad interessare anche gli utili e la qualità del credito delle aziende. È iniziato un processo che potrebbe durare mesi, in cui prezzi e valutazioni potrebbero risentire dell’incertezza geopolitica, macro e microeconomica con dinamiche caratterizzate da una crescente volatilità. I membri della FED si attendono, per il 2023 e 2024, tassi di interesse superiori alle medie di lungo periodo, con implicazioni che non sono ancora state completamente prezzate. Le azioni hanno subito un “de-rating” significativo, ma non possiamo sottovalutare il rischio che un taglio delle stime degli utili del 2022 e 2023, ad oggi difficile da quantificare, renda i multipli meno (o molto meno) attraenti di quanto oggi possano apparire, lasciando spazio ad un ulteriore “de-rating” e quindi al prolungamento della fase di debolezza. Il ciclo del credito è entrato nella fase di “rallentamento”, in cui le condizioni di finanziamento potrebbero peggiorare generando un allargamento degli spread, destinato a ridurre le caratteristiche difensive delle obbligazioni rispetto alle azioni. Ed è in aumento anche la rischiosità delle materie prime: mancando la possibilità di un aumento dell’offerta non escludiamo una riduzione della domanda tale da indurre un calo dei prezzi nella seconda parte dell’anno.
Tenuto conto di tutto questo abbiamo deciso di mantenere nella gestione un approccio cauto, per quanto focalizzato sulla continua ricerca di opportunità di investimento, anche tattiche, nelle diverse asset class che rappresentano l’universo di investimento del portafoglio modello.
Abbiamo aumentato l’esposizione netta alle azioni (+8%), aumentando la componente lunga e riducendo quella corta (+4% ognuna), con aumento delle azioni americane (+11%) e globali (+6%) e riduzione di Europa (-3.5%) e mercati emergenti (-5.5%). A livello settoriale abbiamo aumentato consumi discrezionali (+3%) a fronte della riduzione di energetici (-5%), finanziari e consumer staples (-1.5% ognuno). Abbiamo aumentato il peso delle obbligazioni governative (+4%) e corporate a tasso variabile (+1%), con un marginale aumento della duration da 0.5 a 0.6 anni. A livello valutario abbiamo aumentato l’esposizione al dollaro (+7%) a fronte principalmente della riduzione del peso del dollaro australiano (-6%). Invariata l’allocazione alle materie prime.
Il mese di aprile inizia con una asset allocation caratterizzata da 35% di azioni, 20% di materie prime, 15% di obbligazioni con duration marginalmente positiva e 20% di liquidità.