Nelle prime settimane dell’anno sono proseguite le tendenze che hanno caratterizzato la fase finale del 2020, in particolare la rotazione dai temi “vincenti” del periodo della pandemia a quelli che potrebbero recuperare con maggiore forza quando il mondo uscirà dall’emergenza in cui si trova ormai da un anno. In generale: nelle azioni la rotazione verso mercati e settori più “value” e ciclici, nelle obbligazioni la sovraperformance del debito di minore qualità e nelle divise il recupero di quelle emergenti. Ma poi l’attenzione si è focalizzata sulle mutazioni del virus, sui dubbi circa le capacità dei vaccini di contrastarle e sul potenziale peggioramento del quadro economico a causa dell’introduzione di nuove forme di “lockdown” per arginare la crescita dei contagi. E la forza propulsiva della rotazione è venuta meno, innescando una fase di debolezza che ha riportato i principali indici azionari ed i rendimenti obbligazionari di riferimento sui livelli di inizio anno, con la sovraperformance dei mercati emergenti, in particolare le azioni asiatiche, che nel periodo hanno continuato ad attrarre importanti flussi di investimento, ed il rafforzamento del dollaro.
Non escludiamo l’inizio di una nuova fase di incertezza come conseguenza delle difficoltà nella lotta contro il virus e, a livello di mercato, della difficoltà nel giustificare le valutazioni di molte asset class in assenza di una chiara via di uscita dalla crisi.
Ma pensiamo che lo scenario attuale sia migliore di quello della scorsa estate, perché sono in corso le campagne di vaccinazione, perché governi e banche centrali non danno alcun segnale che induca a pensare al venir meno delle misure a sostegno di sistema finanziario, economia e mercato del lavoro, e perché i dati economici e i risultati aziendali, che sono in miglioramento, ad oggi non evidenziano le condizioni per una marcata correzione degli indici azionari e delle asset class più rischiose.
Allo stesso tempo, date le valutazioni dell’universo in cui investiamo, pensiamo che sia sempre più importante prestare attenzione ad ogni possibile segnale di allarme sulla sostenibilità di queste valutazioni, che provenga dai fattori che monitoriamo continuamente (indicatori economici, evoluzione degli utili e della qualità dei bilanci delle società in cui investiamo, diverse dinamiche di mercato) o da fattori di rischio potenzialmente nuovi.
Con riferimento ai “nuovi” fattori di rischio stiamo seguendo con interesse le “imprese” degli investitori retail (come il gruppo WallStreetBets su Reddit) sempre più attivi nelle piattaforme social alla ricerca di asset class da acquistare sulla base della convinzione che il loro esercito sia in grado di guidare i movimenti dei prezzi indipendentemente da prospettive e valutazioni. Le seguiamo perché non sottovalutiamo il rischio che il possibile “scontro” tra investitori istituzionali e privati arrivi a minare le fondamenta della nostra attività di analisi e di ricerca di opportunità relative in campo azionario, e perché le dinamiche di comportamento di questa categoria di investitori, così come il tono delle loro comunicazioni, evidenziano un segnale di allarme sulla quantità di rischio presente nei portafogli, sulla facilità di assumerlo e la capacità di gestirlo e, in conclusione, sulla possibilità che diventi un fattore destabilizzante per i mercati.
In gennaio abbiamo progressivamente ridotto il rischio azionario, riducendo l’esposizione netta dal 62% al 43% con una riduzione della componente lunga del portafoglio (-15%) ed un aumento di quella corta (-4%). Abbiamo aumentato l’esposizione al settore farmaceutico (+9%), al real estate (+7%), a comunicazioni (+4%), tecnologia (+3%) e consumer staples (+2%), ridotto il peso di energetici e materiali (-4% ognuno), finanziari (-6%), mercati emergenti (-4%) ed aumentato le coperture sugli indici globali (in particolare S&P500 e Stoxx 600).
A fronte della riduzione del rischio azionario abbiamo aumentato la quantità di rischio proveniente da obbligazioni e divise. Abbiamo implementato una posizione corta del 18% su titoli governativi americani ed europei, ridotto marginalmente l’esposizione alle obbligazioni corporate ed aumentato di pari misura il peso di governativi emergenti in dollari ed euro, portando la duration del portafoglio da 0,3 a meno 2 anni. Abbiamo aumentato la diversificazione valutaria rispetto all’euro (+25%) in particolare attraverso l’acquisto di dollari (+12%), sterline (5%) franchi svizzeri (2%) e renmimbi (1%).