L’attenzione dei mercati si è focalizzata prevalentemente sui tassi di interesse, sull’assunto che, se il 2021 vedrà il ritorno alla normalità e la ripresa dei consumi darà slancio alla ripresa economica, questa potrebbe rivelarsi talmente forte da innescare pressioni inflazionistiche. Se l’eccesso di risparmi accumulato da privati e imprese nel 2020, una volta messo in circolazione, determinasse un eccessivo aumento dei prezzi, potremmo assistere ad un aumento dei rendimenti come conseguenza della ripresa economica (fattore positivo) e dell’aumento delle aspettative di inflazione (fattore con aspetti positivi e negativi). Ma se le autorità monetarie decidessero di intervenire con misure restrittive prima di quanto scontato dal consenso, ci sarebbero inevitabili ripercussioni sui prezzi di tutti gli asset finanziari, che oggi presentano valutazioni ben più elevate rispetto ai massimi ciclici registrati in passato.
Abbiamo assistito ad un importante movimento rialzista nei tassi di interesse, con “steepening” delle curve dei rendimenti. Le obbligazioni hanno registrato un inizio d’anno inusualmente negativo, con perdite del 2,6% a livello globale (-1,70% in febbraio), del 3,35% per l’aggregato dei titoli governativi (-2,20% in febbraio) e del 2,35% per i titoli corporate (-1,45% in febbraio), e risultati peggiori all’aumentare delle scadenze. Il movimento ha impattato sulle obbligazioni e le performance delle strategie obbligazionarie, sugli indici azionari (+2,45% l’MSCI World nel mese, ma in calo nelle ultime due settimane in concomitanza con l’accelerazione del movimento rialzista sui tassi), sui diversi settori che li compongono (con una forte rotazione da tecnologia e aree difensive ai settori ciclici e sensibili all’andamento dei tassi) e sulle materie prime (+6,45% il Bloomberg Commodity Index).
Per un mercato abituato da anni a diverse forme di sostegno “pubblico”, febbraio è stato un mese particolarmente complesso e ha dimostrato che pochi investitori sono posizionati per un rialzo dei rendimenti e per un movimento che potrebbe indurre ad un’uscita di capitali dalle azioni, che nell’ultimo anno hanno beneficiato di flussi in arrivo da altre asset class sulla base dell’assunto della “mancanza di alternative”.
Riteniamo che in questo scenario esistano due rischi principali per le asset class in cui investiamo. Il primo è che le azioni siano vulnerabili se le valutazioni (elevate) non saranno sostenute, e presto, da solide aspettative di utili in aumento nel 2021 e 2022. Il secondo: se da questi livelli i rendimenti obbligazionari potranno realisticamente solo aumentare, la valenza strategica dei bond come generatori di rendimenti cedolari e stabilizzatori dei portafogli multi-asset nelle fasi di tensione è destinata a venire meno fino a quando il riprezzamento sarà completato. Una possibile “uscita” dalle obbligazioni potrebbe indirizzare crescenti flussi di capitali verso altre asset class, ad esempio le materie prime. E questi flussi, affiancandosi alla domanda reale tipica delle fasi di ripresa, potrebbero contribuire ad un aumento dei loro prezzi che non potrà non generare l’inflazione tanto temuta dagli investitori.
La nostra attività di gestione rispecchia questi rischi, con una allocazione azionaria ciclica ma una riduzione dell’esposizione azionaria netta, una duration obbligazionaria negativa ed un aumento dell’allocazione alle materie prime preziose, industriali ed energetiche.
Abbiamo ridotto l’esposizione azionaria netta dal 43% al 35% ma aumentato la componente totale di rischio azionario attraverso un aumento della componente lunga (+8%) e di quella corta (+16%). Abbiamo aumentato l’esposizione al settore finanziario (+15%) e ad energetici, materiali ed industriali (+5% ognuno), riducendo consumi discrezionali, staples, comunicazioni e tecnologia (tra 1 e 2% ognuno), real estate e health care (-4% ognuno), utilities (-7%) e ridotto l’esposizione agli indici globali (in particolare S&P500 e MSCI Emerging Markets). Abbiamo ridotto il peso delle obbligazioni corporate Investment Grade ed aperto una posizione corta sugli High Yield in dollari, accorciando la duration complessiva del portafoglio modello da -2 a -2,3 anni. E abbiamo ridotto la diversificazione valutaria al 40% prevalentemente attraverso una riduzione dell’esposizione al dollaro USA (-9%).