I mercati finanziari continuano a non rappresentare con coerenza il miglioramento del quadro economico e dei conti delle società quotate, così come nel 2020 hanno generalmente ignorato l’eccezionale debolezza dell’economia e risultati aziendali particolarmente negativi nella maggior parte dei settori.
I dati macro evidenziano un’economia in forte ripresa rispetto al 2020, pur con andamenti diversi nelle diverse aree geografiche. Particolarmente positivi negli Stati Uniti, grazie al forte aumento dei consumi privati, all’efficiente politica vaccinale ed alla politica fiscale espansiva dell’amministrazione Biden. L’area euro è tecnicamente in recessione a causa della seconda contrazione percentuale consecutiva, dovuta all’accelerazione delle infezioni, alle conseguenti restrizioni nei movimenti delle persone ed alla lentezza delle vaccinazioni. Ma sta iniziando una ripresa destinata ad accelerare nel secondo semestre, che supporta stime di crescita importanti per l’anno in corso. Eppure, i rendimenti obbligazionari si sono stabilizzati dopo gli aumenti di inizio anno, e l’attività delle banche centrali sta evitando ulteriori aumenti, mantenendo le valutazioni su livelli “cari” rispetto ai fondamentali dell’economia.
I risultati aziendali sul primo trimestre si stanno rivelando migliori rispetto ad un consenso particolarmente ottimista: la quantità di aziende che batte le stime non ha precedenti nelle statistiche di Bloomberg, che confrontano dati riportati e dati attesi fin dal 1993. Eppure, le performance borsistiche delle aziende che battono le stime sono generalmente negative, anche se i numeri pubblicati stanno supportando dei multipli che hanno pochi precedenti negli ultimi vent’anni.
L’inflazione, al centro dei dibattiti economici e di mercato nel primo trimestre, sembra essere stata accettata da investitori e banche centrali nella sua componente positiva, ovvero come conseguenza di un aumento di domanda dovuta alla forte ripresa del ciclo economico. E come tale non sembra rappresentare una minaccia particolare per la tenuta dei mercati azionari e obbligazionari, ma è diventata un nuovo tema di investimento di cui stanno beneficiando soprattutto le materie prime, i cui prezzi si trovano sui massimi storici e continuano ad essere acquistate sia per esigenze industriali, commerciali e alimentari sia come asset finanziario utile alla protezione dei portafogli in contesti inflattivi.
La conclusione è che i mercati, inondati da liquidità in cerca di impiego, hanno talmente anticipato ciò che sta accadendo, ovvero l’uscita da uno shock inatteso, violento e ben gestito dalle autorità monetarie e fiscali, che le asset class faticano a trovare un livello valutativo che le renda attraenti dal punto di vista fondamentale. E continuano a diminuire le occasioni di investimento con un adeguato profilo di rischio-rendimento.
Pensiamo che in questa fase la nostra attività di gestione debba diventare ancora piu selettiva e, nel rispetto della filosofia del portafoglio modello, debba concentrarsi sulla ricerca di opportunità supportate, quanto più possibile, da fondamentali sostenibili nel tempo o da forme di sostegno ai prezzi provenienti da domanda finale, da flussi di capitali verso temi specifici o da cambiamenti strutturali che giustifichino, in tempi ragionevoli, scelte ad oggi “care”. A questo proposito stiamo riflettendo sul tema dell’innovazione “dirompente” (l’inglese “disruptive” rappresenta bene il concetto), non necessariamente in ambito tecnologico, e su come renderla una nuova “asset class” da introdurre nel nostro portafoglio azionario, con adeguate “coperture”, e con una connotazione prettamente tematica e non geografica. In aprile abbiamo ridotto l’esposizione azionaria netta dal 66% al 55% (in particolare Europa -9%, USA -5%, mercati emergenti +2%), riducendo del 16% l’esposizione azionaria totale (-14% la componente lunga, -2% quella corta), aumentando marginalmente il peso del settore finanziario (+1%) e riducendo consumer staples (-1%), healthcare (-2%) e materiali (-5%). Abbiamo aumentato l’esposizione alle materie prime dal 15 al 17%, introducendo una posizione su quelle agricole, incrementato marginalmente la duration complessiva del portafoglio obbligazionario (da -1 a -0,3 anni) e ridotto dal 67% al 50% la diversificazione valutaria rispetto all’euro, attraverso vendite di USD (-11%), GBP (-11%)