Il mese è stato caratterizzato dalla prosecuzione delle dinamiche di agosto: aumento dei rendimenti obbligazionari nominali e reali, debolezza degli indici azionari e forza del dollaro. I rendimenti delle obbligazioni governative dei principali emittenti hanno raggiunto livelli mai toccati da oltre un decennio, con un movimento che ha subito un’accelerazione intorno alla metà del mese, quando la FED, oltre a dichiarare di avere rivisto al rialzo le stime di crescita dell’economia americana, ha divulgato le proiezioni per l’evoluzione dei tassi monetari elaborate dai suoi membri di riferimento, in rialzo rispetto alle comunicazioni ufficiali precedenti. Come conseguenza si è rafforzata tra gli investitori l’aspettativa di uno scenario dei tassi monetari “più alti e più a lungo”, con impatti significativi su tutti i segmenti delle curve dei rendimenti. Nelle curve è in atto un movimento di “bear steepening”, ovvero, in questo caso, riduzione dell’inversione iniziata nell’estate 2022, quando i rendimenti biennali hanno superato quelli decennali. Il movimento delle ultime settimane ha visto un aumento dei rendimenti sulla parte lunga più elevato rispetto a quello della parte corta. Conseguenza di una riduzione delle attese di taglio dei tassi della politica monetaria e di un riprezzamento dei rendimenti di lungo periodo, in considerazione di un’inflazione che si riduce ma non più di tanto, di un’economia che resta forte e di minori probabilità di recessione, soprattutto negli USA.
Il movimento del debito governativo è stato esasperato da fattori tecnici: l’aumento delle emissioni in una fase in cui le banche centrali hanno smesso di acquistare titoli e riducono le dimensioni dei portafogli obbligazionari accumulati nell’ultimo decennio; i portafogli degli investitori finali che non sembrano disponibili ad aumentare la duration; la liquidità nel sistema bancario che è in continua riduzione.
Il quadro di mercato sta risentendo di tassi di interesse elevati, che rendono relativamente “care” le valutazioni azionarie e generano incertezza sul fronte macroeconomico. Sono in aumento le morosità nei prestiti ai consumatori e le situazioni di crisi aziendali, in particolare tra le società più indebitate e con minore accesso al credito. E le perdite non realizzate su titoli obbligazionari da parte delle banche potrebbero compensare l’incremento di redditività generato dall’espansione del margine di interesse a partire dal 2022, con impatto significativo sulle stime di utili aggregati nei prossimi trimestri. E questa tendenza potrebbe continuare in assenza di un taglio dei tassi di interesse.
La correzione di azioni e obbligazioni negli ultimi due mesi ha generato una serie di “eccessi” che potrebbero determinare un’inversione di tendenza e vanno seguiti con attenzione. In particolare: a livello tecnico la quantità di azioni americane che tratta al disotto di determinate medie mobili ha raggiunto livelli storicamente associati ad una ripresa dei corsi, così come i livelli raggiunti da diversi indicatori di sentiment; il dividend yield delle azioni europee è sceso al disotto del rendimento delle obbligazioni Investment Grade, per la prima volta dal 2012; le posizioni ribassiste sui futures sul debito USA sono oggi le più elevate mai registrate nella storia.
Nel mese abbiamo aumentato l’esposizione alle obbligazioni (+6%) riducendo la duration del portafoglio obbligazionario da 3,4 a 0,6 anni. Abbiamo azzerato le posizioni nelle obbligazioni emergenti (-6,5%) e aumentato l’esposizione alle obbligazioni corporate IG (+13%), con acquisto di debito in euro di emittenti ad elevato rating con scadenze non superiori ai 3 anni. Abbiamo ridotto l’esposizione alle azioni (-25%) con vendite in Nord America (-12%), Europa e Giappone (-4% ognuna), azzerando il peso dei mercati emergenti (-5%). A livello settoriale abbiamo ridotto l’esposizione a comunicazioni e consumer discretionary (-2% ognuno), consumer staples e information technology (-1% ognuno) aumentando il peso di healthcare (+1%).
Nelle divise abbiamo acquistato dollari USA, sterline e franchi svizzeri a fronte di vendite di Yen e dollari canadesi.