Il mese è stato caratterizzato dalla debolezza dei mercati obbligazionari e dall’esasperazione della “polarizzazione” delle performance negli indici azionari cha abbiamo evidenziato il mese scorso.
Le obbligazioni hanno risentito del riaccendersi del dibattito sull’inflazione e sulla possibile prosecuzione di politiche monetarie restrittive in funzione dell’evoluzione dei prezzi, di segnali macroeconomici che sembrano mettere in discussione lo scenario di rallentamento economico prezzato dalle curve fino al mese scorso, e di fattori tecnici legati alla ripresa delle emissioni di debito americano dopo la pausa forzata in mancanza di accordo sul “debt ceiling”. In ambito azionario Nasdaq e Nikkei, in rialzo di oltre il 7%, hanno sovraperformato rispetto a S&P500, solo marginalmente positivo, indici europei, MSCI World e MSCI Emerging Markets, tutti marginalmente negativi.
In questa fase la tecnologia è l’unica area dei mercati azionari ad attrarre flussi di investimento e sovra performare gli indici di mercato, penalizzati dalla debolezza di tutto il resto e in particolare di energetici, materiali, immobiliari e consumer staples. Per rendere l’idea, con riferimento all’S&P500: da inizio anno a fine maggio le sette “mega capitalizzazioni” della tecnologia (Meta, Amazon, Apple, Microsoft, Alphabet, Tesla e NVDA) si sono apprezzate in aggregato di oltre tre trilioni di dollari, ovvero del 54%. Tre trilioni di dollari sono un importo quasi pari alla capitalizzazione dell’Eurostoxx50 europeo, pari all’aggregato di tutte le aziende americane del settore industriale e dei consumer staples, e un importo superiore alla capitalizzazione aggregata dei 2000 costituenti del Russell 2000 (le 2000 minori capitalizzazioni delle 3000 aziende quotate in USA). Senza il contributo delle sette “mega cap” l’indice americano avrebbe registrato una performance vicina allo zero se non negativa. Queste sette aziende rappresentano oggi il 28% della capitalizzazione dell’indice. In conseguenza a performance così asimmetriche, meno di un terzo dei titoli dell’indice sta facendo meglio del mercato nel 2023: si tratta di una percentuale che, negli ultimi 30 anni, è stata toccata solo nel 1998/99, alla vigilia dell’emergere della “bolla di internet”. La differenza di performance tra l’indice S&P500 (+9,65%) ed il suo omologo con gli stessi costituenti ma equi pesati (-0.65%) ha raggiunto livelli toccati solo altre quattro volte negli ultimi 30 anni: dicembre 1999, ottobre 2002, dicembre 2008 e maggio 2020, ovvero momenti particolarmente delicati nella storia dei mercati finanziari.
Pensiamo che gli eccessi di concentrazione delle performance non siano un fattore “sano” e che vadano guardati con cautela.
Tecnologia e intelligenza artificiale sono argomenti in primo piano nei mercati finanziari. Non pensiamo che si stiano verificando gli estremi per una nuova “bolla” speculativa nei titoli legati all’intelligenza artificiale. Generalmente una bolla speculativa ha bisogno di tre fattori per gonfiarsi e rischiare di esplodere: una storia fondamentale consistente (in questo caso esiste), una motivazione convincente sulla crescita futura (esiste anche questa) e una buona dose di liquidità, leva finanziaria o entrambe. Queste ultime ad oggi mancano: le banche centrali e quelle commerciali restringono l’erogazione di credito, e non ci sono particolari evidenze di una corsa agli acquisti degli investitori retail. Le valutazioni, per quanto elevate rispetto alle medie storiche dei titoli e del settore, sono inferiori a quelle raggiunte nel 2020/2021 e soprattutto nel 2000. Tuttavia pensiamo che il tema sia da seguire e monitorare attentamente, perché sta offrendo delle opportunità di investimento e perché potrebbe offrirne se e quando certi eccessi torneranno alla normalità.
In maggio abbiamo ridotto l’esposizione alle obbligazioni (-5%) riducendo il peso dei titoli governativi americani. La duration del portafoglio obbligazionario è scesa a 1,7 anni rispetto ai 2,7 di aprile. Nelle azioni abbiamo ridotto l’esposizione netta (-5%), con una riduzione del peso dell’Europa (-12%) e delle azioni globali (-3%) a fronte dell’apertura di una posizione sulle azioni giapponesi (7%) e dell’aumento dell’esposizione su quelle americane (+4%). A livello settoriale abbiamo aumentato il peso di tecnologia (+5%), comunicazioni (+2%), industriali e consumer staples (+1% ognuno) riducendo consumi discrezionali (-1%), finanziari (-2%) e farmaceutici (-6%). Abbiamo aumentato la diversificazione valutaria rispetto all’euro (-11%) a fronte di acquisti di GBP (+1%) e dollari USA (+10%).