Il mese ha visto la prosecuzione delle dinamiche che hanno caratterizzato maggio e giugno, con gli indici azionari stabili o in rialzo e quelli obbligazionari stabili o in ribasso, e l’attenzione degli investitori focalizzata su tassi di interesse, evoluzione delle dinamiche inflattive, dati macroeconomici e risultati aziendali sul primo semestre.
Le principali banche centrali, pur mantenendo un approccio restrittivo con ulteriori aumenti dei tassi di riferimento, iniziano a preparare i mercati finanziari e l’economia reale ad una nuova fase delle politiche monetarie. In occasione dell’aumento dei tassi ufficiali di luglio, il messaggio di FED e BCE è stato grosso modo simile: consapevoli che gli effetti dei rialzi dell’ultimo anno non siano ancora evidenti nell’economia reale, che il calo dell’inflazione, per quanto sensibile, non permetta di abbassare la guardia, e che la resilienza dell’economia, contrariamente a pochi mesi fa, non induca a prevedere una recessione, al fine di determinare la necessità di ulteriori restrizioni del credito, nei prossimi mesi, adotteranno un approccio basato sui dati economici. L’attenzione dei mercati sembra destinata a spostarsi dal momento del possibile inizio del ciclo di ribasso dei tassi alla durata dell’attuale approccio restrittivo.
Viviamo in un mondo in cui, in meno di un anno e mezzo, i tassi di interesse sui prestiti sono aumentati a livelli che pochi avrebbero immaginato nel 2021, le banche hanno significativamente ristretto gli standard creditizi riducendo l’erogazione di credito all’economia reale, l’inflazione è in calo rispetto ai picchi della scorsa estate ma i suoi effetti sono sempre più evidenti, a tutti e in tutto il mondo, eppure la recessione di cui tanto si parla non solo non si sta manifestando, ma sta anche uscendo dalle previsioni di economisti e banchieri centrali. E, per quanto riguarda gli investimenti in azioni, appare sempre meno evidente nell’evoluzione delle stime degli utili aziendali.
In questo scenario sembrano emergere delle nuove dinamiche nei mercati azionari. Il rialzo degli indici è sempre meno concentrato, ed il trend rialzista si sta estendendo a diverse aree. La tecnologia, il Nasdaq e le mega capitalizzazioni, per quanto stabili, hanno smesso di sovraperformare nettamente tutto il resto. Ci sono segnali di forza relativa in aree cicliche come finanziari, industriali e materiali, che nel primo semestre sono stati penalizzati dalle prospettive di rallentamento economico; nelle “small cap” rispetto agli indici principali in USA ed Europa, e nei mercati emergenti rispetto agli indici dei paesi sviluppati.
Va sottolineato il marcato rialzo degli indicatori di “sentiment” di mercato, conseguenza anche di un forzato riposizionamento sulle azioni da parte di diverse categorie di investitori che non hanno beneficiato delle performance degli indici negli ultimi mesi. Eccessi di ottimismo tendono ad anticipare aumenti di volatilità, e non vanno sottovalutati.
In luglio abbiamo non abbiamo apportato modifiche alla componente obbligazionaria del portafoglio, che continua a rappresentare circa un quarto degli investimenti, per metà allocata a governativi americani con scadenze inferiori ai due anni (14%) e per il resto a obbligazioni governative emergenti (6%), a corporate investment grade (2%) e corporate high yield (4%), con una duration complessiva di 1,7 anni.
Abbiamo marginalmente ridotto l’esposizione azionaria (-3%), con la riduzione di USA (-5%) ed Europa (-3%) e l’aumento dei mercati emergenti (+5%). A livello settoriale abbiamo aumentato il peso di finanziari (+8%), comunicazioni e consumer discretionary (+2% ognuno) a fronte di una riduzione di industriali (-2%) ed information technology (-4%). Abbiamo aumentato l’esposizione al dollaro USA (+6%) riducendo euro (-4,5%) e, marginalmente, sterline e franchi svizzeri.