Il mese ha visto la prosecuzione delle dinamiche che hanno caratterizzato la seconda parte di gennaio. Rialzo dei mercati azionari, con sovraperformance di Giappone e USA rispetto all’ Europa, e recupero dei mercati emergenti, in cui l’Asia ha sovraperformato rispetto all’America latina anche grazie alla ripresa degli indici cinesi. Aumento dei rendimenti obbligazionari, più nella parte medio lunga delle curve che in quella breve e più in Europa che negli Stati Uniti, e rafforzamento del dollaro sui principali cross valutari.
Il rialzo degli indici azionari si sta estendendo dai pochi temi che hanno caratterizzato il 2023 (in particolare tecnologia, intelligenza artificiale e alcune aree dei consumi discrezionali come il lusso) ad aree quali i titoli a minore capitalizzazione ed i ciclici non tecnologici. La tecnologia rimane comunque l’area con maggiore forza degli utili. Emblematico il caso di Nvidia che, dopo la pubblicazione dell’ultima trimestrale, il 21 febbraio, ha beneficiato di un significativo aumento delle stime di consenso e di una crescita delle quotazioni superiore al 25%, con un aumento della capitalizzazione di circa 430 miliardi di dollari (ovvero il 55% della capitalizzazione del FTSE MIB italiano): eppure oggi tratta a multipli inferiori rispetto all’anno scorso, quando si è iniziato a enfatizzare il tema dell’intelligenza artificiale. In generale le valutazioni del settore tecnologico si stanno riportando sui livelli raggiunti nel 2020 nella fase della “bolla” indotta dagli eccessi di liquidità nei mercati durante il periodo del lockdown. Oggi, diversamente da allora, tassi di interesse più elevati con i bilanci delle banche centrali in fase di contrazione, inducono a considerare con maggiore cautela multipli più elevati rispetto alle medie storiche. E, in termini relativi, potrebbero emergere opportunità di re-rating per altri temi nei mercati azionari.
I dati macroeconomici continuano a rappresentare uno scenario positivo sia negli USA sia in Europa ed inducono a rivedere al ribasso le possibilità e l’entità dei tagli dei tassi da parte delle banche centrali. I futures sui FED Funds prezzano oggi un taglio dall’attuale 5.25/5,50% al 4,50/4,75% per la fine dell’anno, a fronte del 3.75/4% prezzato a metà gennaio. I trend di ripresa dei mercati emergenti sembrano più lenti ma le sorprese negative provenienti dalla Cina sembrano terminate. E’ in atto una ripresa dei commerci internazionali che, per il momento, non sembra risentire in modo particolare delle tensioni nel Mar Rosso il cui impatto sull’inflazione potrebbe restare limitato.
A livello globale le dinamiche inflattive stanno iniziando a divergere. Negli USA l’aumento dei prezzi è previsto stabilizzarsi al disopra del 2% ma in un range accettabile per la banca centrale, mentre nell’area euro potrebbe stabilizzarsi al disotto di questa soglia, ponendo la BCE nella condizione di effettuare un taglio dei tassi più significativo (i futures prezzano un taglio di 90/100 punti base entro la fine dell’anno).
In questo scenario abbiamo mantenuto invariato il profilo di rischio.
Non abbiamo apportato modifiche all’allocazione obbligazionaria. Abbiamo marginalmente ridotto l’esposizione alle azioni (-4%) con vendite in Europa (-5%) Giappone (-1%) e Australia (-2%) ed acquisti in Nord America (+4%). A livello settoriale abbiamo ridotto Health Care (-2%), materiali e comunicazioni (-1% ognuno) aumentando il peso di Information technology (1%), consumer staples e consumer discretionary (1,5% ognuno). Nelle divise abbiamo aumentato il peso del dollaro USA (+18%) a fronte in particolare di riduzione dell’esposizione a sterline e franchi svizzeri (-5% ognuna) e yen (-3%).