Il mese è stato caratterizzato da una serie di eventi che, per quanto non pienamente rappresentati dall’aggregato degli indici azionari e obbligazionari, invariati o positivi con l’eccezione delle azioni europee, sono destinati ad avere conseguenze di rilievo sul quadro macroeconomico, sulle dinamiche future dei mercati finanziari e sui comportamenti di investitori e banche centrali.
In meno di due settimane sono fallite tre banche statunitensi di medie dimensioni e, in Europa, il Credit Suisse è stato acquistato da UBS, durante un fine settimana, con un’operazione che ha suscitato numerose critiche ma che, realisticamente, ha evitato un’insolvenza che avrebbe avuto effetti molto pesanti sui mercati e sull’economia. Questi eventi hanno rappresentato il momento più complesso per il sistema bancario dalla crisi finanziaria del 2008. E ci ricordano che il suo corretto funzionamento si basa sulla “fiducia” nel sistema stesso. Le banche di tutto il mondo, infatti, hanno iniziato a subire una forte pressione nel momento in cui gli investitori hanno iniziato a dubitare della salute dei loro bilanci, sovraccarichi di obbligazioni (fortunatamente “di qualità”, diversamente dal 2008) a lunga duration acquistate negli anni dei rendimenti negativi e oggi trattano a prezzi ben più bassi del loro valore nominale, e sulle prospettive della loro profittabilità in uno scenario caratterizzato dall’aumento dei costi di finanziamento.
Oggi, a distanza di poche settimane, gli effetti di quanto accaduto sembrano visibili solo sugli indici azionari bancari e assicurativi, e sugli spread rispetto ai titoli governativi delle obbligazioni finanziarie, in particolare di alcune categorie di obbligazioni. E lo “shock” sembra essere passato, anche grazie alle misure di sostegno poste in essere dalle autorità monetarie di tutto il mondo. Ma lo stress subito dal sistema finanziario, e l’incertezza generata dalle autorità svizzere sugli strumenti di finanziamento del bilancio delle banche, sono destinati ad accelerare il restringimento delle condizioni finanziarie e degli standard creditizi già in atto da mesi per l’aumento dei tassi di interesse. Realisticamente vedremo un aumento dei costi di finanziamento, minore liquidità nei bilanci bancari, minore redditività per le banche e un rallentamento della crescita dei finanziamenti. Con il conseguente ritorno del “credit crunch” di cui tanto si è parlato dopo il 2009. E con il suo impatto negativo sulla crescita globale che, ad oggi, è atteso ma difficilmente quantificabile.
Con queste premesse restiamo in uno scenario caratterizzato dalla dicotomia tra il surriscaldamento dell’economia reale, che genera inflazione e che le banche centrali continuano a contrastare, e la recessione indotta da elevati tassi di interesse e dalle tensioni nel sistema bancario, che potrebbero avere conseguenze più forti di quelle volute dalle autorità monetarie con le politiche restrittive degli ultimi mesi.
Nell’attività di investimento continuiamo a guardare principalmente ai fattori “margini e utili aziendali” e tassi di interesse, con l’idea di ridurre progressivamente la ciclicità del portafoglio. Quello azionario è composto da società che presentano stime di utili 2023 e 2024 stabili o in aumento. Quello obbligazionario da titoli governativi e corporate con scadenze al massimo nel 2026, con un approccio prudente alla duration e posizioni solo “tattiche” su governativi decennali. E nelle divise manteniamo una limitata diversificazione rispetto all’euro, prevalentemente sul dollaro.
In marzo abbiamo ridotto l’esposizione alle obbligazioni (-8%), soprattutto nella componente governativa dove abbiamo ridotto l’esposizione alla parte breve della curva americana che ha beneficiato delle tensioni nel sistema bancario.
Abbiamo aumentato l’esposizione alle azioni (+13% quelle americane, +9% le europee) riducendo le coperture e, a livello settoriale, abbiamo aumentato il peso di consumer discretionary e information technology (+2% ognuno) e consumer staples (+1%), a fronte di una riduzione del peso di communication services (-5%) e finanziari (-6%).