Il mese è stato caratterizzato dal calo degli indici azionari ed obbligazionari, con l’eccezione delle azioni europee: -2.5% l’MSCI World, in linea con l’S&P500, -6,5% l’MSCI Emerging markets e +1,75% lo Stoxx 600 Europe. -3,3% il Bloomberg Global Aggregate Bond.
Queste performance vanno inquadrate in un contesto in cui dati macroeconomici migliori delle attese ed inflazione superiore al previsto in gran parte dei paesi sviluppati hanno indotto gli investitori a “ri-prezzare” non solo le aspettative sul livello obiettivo dei tassi di politica monetaria, ma anche sul momento in cui l’obiettivo sarà raggiunto.
Le attese sul “terminal rate” della FED sono passate in poche settimane dal 5% per aprile 2023 al 5,5% per ottobre 2023. E le attese per le prime riduzioni dei tassi, a partire da ottobre 2023, si sono ridotte da 2 a 1,5 punti percentuali. E nell’area Euro i mercati finanziari stanno prezzando un nuovo livello massimo dei tassi ufficiali della BCE al 4,1%, con un aumento dello 0,6% rispetto al 3,5% di sole due settimane fa. In sintesi: politiche più restrittive e più a lungo.
La nostra lettura è che i mercati continuano ad essere fortemente condizionati da dati volatili e che il contesto per gli investimenti rimane complesso con riferimento a 3 fattori: ciclo economico, inflazione ed utili aziendali. L’evoluzione del ciclo economico è particolarmente incerta. C’è una presenza simultanea di indicatori di ripresa e recessione, che potrebbero evolvere entro la fine dell’anno sia in una recessione sia in una accelerazione. Nel primo caso: calo di domanda, occupazione, profitti delle aziende, correzione degli indici azionari, taglio dei tassi di interesse, riposizionamento delle curve e rialzo delle obbligazioni. Nel secondo caso: utili, inflazione e tassi in aumento e, come nel 2022, volatilità in tutte le asset class. Il processo disinflattivo, più lento di quanto scontato a fine 2022 da analisti e mercati, mantiene elevata l’incertezza sulle politiche monetarie e sulle obbligazioni. E il rialzo in atto nelle azioni, infine, sta proseguendo in assenza di revisioni al rialzo delle stime di utile, a parte in pochi settori come quello bancario. Di conseguenza è in atto un’espansione dei multipli che, in generale, ha riportato le valutazioni al disopra delle medie di lungo periodo. Una prosecuzione del rialzo da questi livelli implica un’ulteriore espansione dei multipli, fino a quando non inizierà la ripresa degli utili.
In questo contesto ci concentriamo principalmente sui fattori “margini e utili aziendali” e tassi di interesse. Il portafoglio azionario è composto da società che presentano stime di utili 2023 e 2024 stabili o in aumento. Quello obbligazionario da titoli governativi e corporate con scadenze al massimo nel 2026, con un approccio prudente alla duration e posizioni solo “tattiche” su governativi decennali. Nelle materie prime abbiamo una posizione sul rame, che potrebbe beneficiare sia in uno scenario di ripresa economica sia nel caso di ripresa dell’inflazione. E nelle divise manteniamo una limitata diversificazione rispetto all’euro, prevalentemente sul dollaro.
In febbraio abbiamo aumentato l’esposizione alle obbligazioni (+9%), con un aumento del peso dei titoli governativi americani a scadenza biennale, i cui rendimenti sono prossimi al 5% per la prima volta dal 2007. La duration del portafoglio obbligazionario è passata da 2.4 a 2 anni. Abbiamo progressivamente ridotto l’esposizione alle azioni (-19%) attraverso coperture del portafoglio americano (-12,5%) ed europeo (-7,5%). A livello settoriale abbiamo aumentato il peso di utilities (+6,5%), comunicazioni (+5%), consumer staples ed energetici (+3%) e farmaceutici (+2%), riducendo tecnologia (-4%), consumi discrezionali (-3%), finanziari e industriali (-2% ognuno). Nelle materie prime abbiamo azzerato l’esposizione all’oro (-20%) e manteniamo una posizione sul rame (4%). Abbiamo ridotto del 24% la diversificazione valutaria rispetto all’euro, con vendite di dollari (-16%), yen (-5%), sterline e franchi svizzeri (-2% ognuno).