

Il mese è stato caratterizzato da un progressivo aumento dell’incertezza nell’economia, nel contesto geopolitico e nei mercati finanziari. In particolare, è aumentato il timore che le “tasse” imposte dagli Stati Uniti sui beni importati dall’estero si rivelino particolarmente penalizzanti non solo per le economie dei partner commerciali degli USA ma anche, contrariamente a quanto sostenuto dal Presidente, per l’economia americana stessa. E, ancora peggio, è aumentata la consapevolezza del rischio che al rallentamento economico si affianchi una ripresa dell’inflazione.
L’incertezza ha impattato negativamente sugli indici azionari: -3,7% l’MSCI ACWI in dollari (-7,35% in euro), -5,75% l’S&P500, -7,7% il Nasdaq, -4,2% lo Stoxx600 e il Nikkei, mentre l’MSCI Emerging Markets si è apprezzato dello 0,4% (+1,85% la Cina, +4,3% l’America latina).
Nel reddito fisso il debito americano ha sovraperformato quello europeo, che ha prezzato un possibile aumento della crescita economica come conseguenza del progetto “ReArm Europe”, della riforma dei limiti costituzionali sul debito tedesco e del fondo da 500 miliardi per le infrastrutture in Germania. Anche l’asset class “obbligazioni” sta prezzando un aumento dell’incertezza, con l’allargamento degli spread dei titoli corporate sui governativi (in particolare gli HY, ed in particolare negli Stati Uniti) e del debito emergente su quello dei principali paesi sviluppati.
Il primo trimestre dell’anno è stato il peggiore dal 2022 per le azioni americane che, oltre a realizzare una perdita (-4,6% l’S&P500, -8,25% il Nasdaq, -9,8% il Russell 2000) hanno sottoperformato rispetto agli indici europei (+5,2% lo Stoxx600), ed a quelli emergenti (+2% MSCI EM, +15,8% il FTSE China 50, +11,7% l’America latina). In questi tre mesi c’è stato un importante “de-rating” delle grandi società tecnologiche americane, con le Magnifiche 7 in calo del 15% a fronte dell’andamento sostanzialmente invariato delle altre 493 dell’S&P500. Il loro peso sul totale dell’indice si è ridotto di oltre il 3%, tornando sotto al 30%. E il loro premio sul resto del mercato, “solo” 6 punti in termini di PE, è ai minimi degli ultimi 10 anni.
A marzo si è ricominciato a parlare di “stagflazione”: mancanza di crescita economica in un contesto inflazionistico. È lo scenario che ha fortemente penalizzato i mercati finanziari e tutte le asset class nel 2022, nonché lo scenario peggiore per le banche centrali: un aumento dei prezzi superiore ai loro obiettivi richiederebbe un aumento dei tassi (come avvenuto nel 2022 e 2023), mentre l’economia che non cresce andrebbe stimolata con un taglio. La conseguenza è il rischio di errori di politica monetaria, con aumento dell’incertezza e della volatilità di tutto: azioni, obbligazioni, materie prime e divise.
I dati economici evidenziano un’inflazione al disopra degli obiettivi negli USA, nell’Area Euro ed in Giappone, ed una crescita “che fa fatica”. Stanno aumentando le aspettative di inflazione a breve e lungo termine e l’aumento delle tariffe è destinato ad impattare i prezzi al consumo. Difficile quantificare questo aumento, dato il susseguirsi di annunci e contro annunci ed in assenza di formule chiare per quantificare l’aumento dei dazi. Ed ecco una ulteriore fonte di incertezza.
In questo scenario il nostro portafoglio continua a connotarsi per la difensività della componente azionaria di stock picking, per la ricerca di opportunità relative (Europa vs USA, Cina 50 vs MSCI Emerging Markets), la bassa esposizione al dollaro, la diversificazione nelle materie prime e la duration del portafoglio obbligazionario inferiore a 1 anno.
Abbiamo ridotto l’esposizione alle azioni (-55%) con vendite in Europa (-62%) e Giappone (-1%) ed acquisti in Canada (+4%), Australia (3,5%) e USA (+1,3%). A livello settoriale abbiamo ridotto il peso dei finanziari (-5%) azzerando la posizione nelle banche europee. Abbiamo ridotto l’esposizione alle obbligazioni (-8,6%) con vendite di titoli governativi (-6,2%) e corporate (-2,4%), aumentando marginalmente la duration da 0,65 a 0,75 anni.
Nelle divise abbiamo aumentato il peso di yen (+34,7%) e dollari USA (+19,5%), riducendo sterline (-13,4%) e franchi svizzeri (-22%).
Nei primi giorni di aprile abbiamo ulteriormente ridotto la rischiosità del portafoglio, azzerando completamente l’esposizione azionaria.