

Il mese è stato positivo per i mercati azionari (+3,1% l’MSCI World), con la sovraperformance degli indici europei (+6,8% lo Stoxx600) rispetto a quelli americani (+2,3% l’S&P500), asiatici (-0,8% il Nikkei) ed emergenti (+1,4% l’MSCI Emerging Markets), positivo per le materie prime (+4,3% il Bloomberg Commodity Index) con la sovraperformance dell’oro (+8%) rispetto a prodotti agricoli (+6%), rame (+5%) e petrolio (+3,5%), e contrastato per le obbligazioni, con uno spostamento verso l’alto delle curve ed i rendimenti che hanno iniziato l’anno in deciso aumento ed invertito la tendenza nella seconda parte del mese.
La volatilità dei mercati finanziari è in aumento, con la fase iniziale della presidenza Trump che ha dimostrato che le dichiarazioni più o meno ufficiali del presidente tendono ad avere impatti immediati sull’andamento di diverse asset class, e con il caso “Deep Seek” che, indipendentemente dal futuro del prodotto specifico, ha portato un fattore di incertezza alla narrativa del tema dell’intelligenza artificiale. Perché ha evidenziato la possibilità di ottenere gli stessi risultati dei sistemi più evoluti con una frazione dei costi e con l’utilizzo di chip meno complessi, mettendo in discussione l’entità degli investimenti, le stime di ricavi ed utili delle società coinvolte, le loro valutazioni e quelle di una grossa percentuale delle capitalizzazioni degli indici azionari.
Le azioni, oltre alla sovraperformance dell’Europa, hanno visto una significativa rotazione settoriale, con la sovraperformance di consumer discretionary (soprattutto quelli europei, in particolare nella componente legata al lusso), finanziari, industriali, farmaceutici ed energetici rispetto a consumer staples e tecnologia (soprattutto quella americana). Queste dinamiche sono riconducibili anche a un riposizionamento di capitali dai temi che hanno realizzato i maggiori ritorni negli ultimi anni, creando eccessi di valutazione ed eccessi di concentrazione dei pesi all’interno di alcuni indici (pensiamo all’ S&P 500, che appare sempre più esposto alla tecnologia e dipendente dall’andamento di pochi titoli) a temi meno “di moda” ma allo stesso tempo meno cari e con interessanti prospettive di rivalutazione nel medio periodo. Emblematico il caso della recente “riscoperta” dell’Europa. Nel 2024 lo Stoxx600 ha sottoperformato del 15% rispetto all’S&P500, con una differenza percentuale che non ha precedenti dalla nascita dell’indice europeo alla fine degli anni 90. I suoi multipli sugli utili stimati per il 2026 trattano 40% di sconto rispetto a quelli statunitensi, e la differenza non è dovuta solo alle valutazioni particolarmente elevate dei titoli tecnologici americani. Ci sono molte spiegazioni per questa differenza di valutazione, molte delle quali assolutamente giustificate. E non esiste un chiaro catalyst per la recente sovraperformance europea. Ma se partiamo dal presupposto che tanti dei fattori negativi per le azioni europee siano già prezzati, così come prezzati potrebbero essere i fattori positivi per le azioni americane, proprio l’assenza di un catalyst potrebbe giustificare la prosecuzione dell’interesse per l’Europa e per l’aumento del suo peso nelle asset allocation internazionali.
Abbiamo mantenuto invariata l’esposizione alle azioni ma ridotto il peso del portafoglio di stock picking aumentando quello degli indici azionari. Abbiamo aumentato il peso dell’Europa (+53%) riducendo Stati Uniti (-25%) e mercati emergenti (-25%), e, a livello settoriale, aumentato finanziari (+5%), consumer staples e healthcare (+1% ognuno) riducendo real estate e tecnologia (1% ognuno), comunicazioni (2%), industriali e consumer discretionary (-6% ognuno) e materiali (-7%). Nelle obbligazioni abbiamo ridotto il peso dei titoli governativi (-5%) ma aumentato la duration da -0,5 a +0,4 anni. Nelle materie prime abbiamo aumentato l’esposizione all’oro (+1,5%) e nelle divise abbiamo aumentato il peso del dollaro USA (+30%) a fronte di vendite di euro e franchi svizzeri.