E’ stato un mese positivo per le azioni americane e contrastato per tutte le altre asset class. Gli asset più rischiosi hanno reagito positivamente alla vittoria elettorale di Trump e del partito repubblicano. Gli indici americani hanno realizzato una sequenza di nuovi massimi (le chiusure record per l’S&P 500 nel 2024 sono più di 55!), con small cap, settori ciclici e tecnologia in rialzo sulle attese di una riduzione delle tasse e di una “deregulation” attuata con la semplificazione del contesto normativo in chiave “pro-imprese”. Gli indici europei e dei Paesi emergenti hanno sottoperformato quelli globali, prevalentemente a causa dei timori per le conseguenze di nuove politiche economiche penalizzanti per tutto ciò che è “straniero” al fine di tutelare l’economia statunitense.
Il nuovo presidente ha dichiarato una linea di condotta che potrebbe influenzare in maniera importante le dinamiche dell’economia e dei mercati finanziari negli anni a venire. E i movimenti delle diverse asset class in novembre sembrano prezzare uno scenario tendenzialmente favorevole alle prospettive economiche statunitensi ma meno positivo per quelle del resto del mondo.
Il rischio è che una enfasi eccessiva sulle politiche commerciali e sulla gestione dell’immigrazione abbia un impatto negativo sulla crescita e spinga al rialzo l’inflazione. Questo indurrebbe la FED a interrompere il ciclo espansivo ed, eventualmente, all’adozione di un nuovo approccio restrittivo che, come abbiamo visto nel 2022 e 2023, rischia di penalizzare l’economia reale, i rendimenti obbligazionari e i mercati finanziari, non solo americani. In conclusione, guardando oltre il breve periodo, il comportamento dei mercati finanziari rischia di porre un freno agli atteggiamenti populisti di Trump.
Risultati elettorali a parte, fino ad oggi nel 2024 sono emerse dinamiche diverse tra Stati Uniti e resto del mondo. L’economia USA sta esprimendo una tendenza di crescita significativa, sia in valore assoluto sia rispetto agli altri paesi, anche grazie ad importanti vantaggi macroeconomici come l’indipendenza energetica. E le differenze sono evidenti nei comportamenti delle azioni: una crescita degli utili ed una redditività più elevate hanno aumentato il premio dei multipli USA rispetto a quelli del resto del mondo. E la presenza delle mega capitalizzazioni del settore tecnologico, oligopoliste in diverse aree delle nuove tecnologie inclusa l’intelligenza artificiale, rende una parte importante degli indici sempre più disconnessa dal ciclo economico. Questa “eccezionalità”, destinata a continuare nel 2025, giustifica i flussi di capitali verso gli Stati Uniti, il loro sostegno agli indici e le differenze di performance, in assenza di un catalizzatore che possa innescare il re-rating delle azioni europee ed emergenti.
Il mese è stato negativo per l’oro. Ma tenuto conto dell’evoluzione dei tassi di interesse, delle implicazioni delle tariffe, dell’aumento del debito americano, riteniamo che la domanda di oro da parte di banche centrali e investitori finali sia destinata a continuare.
Abbiamo marginalmente incrementato l’esposizione alle azioni (+3,5%), chiudendo la copertura sul MSCI World (+32%) e riducendo Europa (-18%), mercati emergenti (-7,7%) e Canada (-3,7%). A livello settoriale abbiamo aumentato l’esposizione ai consumer discretionary europei (+6%) ed ai chimici europei (+6%). Nelle obbligazioni abbiamo ridotto l’esposizione ai governativi Investment Grade (-38,5%) riducendo la duration del portafoglio obbligazionario da 4 a 1,5 anni. Abbiamo ridotto la diversificazione valutaria rispetto all’euro in particolare con la vendita di dollari (-60%) e franchi svizzeri (-11,6%).