Il mese di gennaio ha visto un rialzo generalizzato di azioni e obbligazioni: gli indici MSCI World e Bloomberg Global Aggregate bond, espressi in euro, hanno recuperato quasi completamente le perdite di dicembre 2022 (-1,10% il risultato cumulato dei due mesi, per entrambi).
Lo scenario sta cambiando: l’inflazione sembra tornare sotto controllo, le banche centrali si stanno avvicinando al “terminal rate”, il tasso di interesse fissato come tasso obiettivo della politica monetaria. E diversi dati economici in miglioramento riducono le attese per una forte recessione.
La “riapertura” dell’economia cinese e il forte ribasso dei prezzi dell’energia in Europa hanno indotto ad una revisione al rialzo delle prospettive di crescita in diverse aree, aumentato la credibilità delle stime sugli utili aziendali, dopo mesi di revisioni negative, e migliorato le prospettive degli emittenti di obbligazioni corporate, sia nella parte investment grade sia in quella high yield. Considerando che la Cina è il secondo motore di crescita dell’economia mondiale, dopo gli USA, la sua ripresa economica, in questa fase di rallentamento dei mercati sviluppati, e anche se guidata dai consumi privati più che dagli investimenti, è destinata ad impattare positivamente le economie con cui ha i maggiori legami economici, quelle europee in primis.
La FED ha mantenuto un approccio restrittivo per tutto il 2022, avendo perso convinzione sulla “transitorietà” dell’inflazione, e consapevole del rischio di generare una recessione. Ma, a partire da novembre, i dati sembrano dimostrare che il processo di disinflazione sia iniziato seriamente, come Powell ha sottolineato diverse volte nella conferenza stampa di inizio febbraio. E il tasso di disoccupazione non presenta segni di peggioramento. Con la riduzione dell’inflazione, e con tassi di mercato stabili, i tassi reali aumentano, generando gli effetti di una politica monetaria ulteriormente restrittiva, che la banca centrale vuole evitare. Su questa base i mercati finanziari stanno scontando la fine del ciclo restrittivo americano, con l’arrivo dei primi tagli alla fine del 2023. Non sottovalutiamo il rischio che la FED “tagli” troppo o troppo presto, inducendo una ripresa della spirale inflazionistica nel 2024. La BCE è pronta a mantenere un atteggiamento restrittivo fino a quando l’inflazione non inizierà a scendere in modo convincente. Ma le condizioni del credito sono molto peggiorate nell’area dell’euro e la domanda di credito si è contratta significativamente, a causa di condizioni creditizie più restrittive e dell’aumento dei tassi di interesse. Non sottovalutiamo il rischio che la BCE si riveli più restrittiva di quanto richiesto dall’economia.
Il problema, a questo punto, è se vedremo una recessione, e di quale entità. Se non la vedremo i tagli alle stime di utile 2023 e 2024 potrebbero rivelarsi eccessivi, e la loro revisione al rialzo, insieme alla stabilità/riduzione dei tassi di interesse, potrebbe giustificare l’espansione dei multipli azionari a cui abbiamo assistito nelle prime settimane dell’anno.
In gennaio abbiamo progressivamente aumentato il profilo di rischio del portafoglio modello.
Nelle obbligazioni (+22%) abbiamo aumentato l’esposizione ai titoli governativi dei mercati sviluppati (+12%) e a quelli dei mercati emergenti (+3%), ed acquistato titoli corporate investment grade (3,5%) ed high yield (4%). Con questi movimenti la duration del portafoglio obbligazionario è passata da -2 a +2,3 anni.
Nelle azioni (+22%) abbiamo aumentato l’esposizione a Stati Uniti (+14%) ed Europa (+10%), con un aumento del peso del settore finanziario (+9%), di industriali e consumi discrezionali (+6% ognuno), riducendo energetici (-3,5%), utilities e consumer staples (-6,5% ognuno).
Nelle divise, dove la diversificazione rispetto all’euro rimane al 40%, abbiamo ridotto il peso del dollaro (-4%) in seguito alla chiusura della posizione ribassista sulla divisa cinese contro dollaro in essere dal 2021.
Nelle materie prime abbiamo aumentato il peso dell’ oro (+10%) e introdotto una posizione sul rame (+4%).