Il mese è stato caratterizzato da un progressivo peggioramento del quadro economico e del sentiment degli investitori, che si sono riflessi nello scenario di mercato con un aumento della volatilità e con la prima correzione degli indici azionari nell’ordine del 5% da quando, lo scorso novembre, si è iniziato a parlare dei vaccini.
Il supporto macroeconomico ai mercati finanziari ha iniziato a diminuire durante l’estate con l’emergere dei primi segnali della naturale decelerazione della crescita: è iniziata la transizione dalla dinamicità delle “riaperture post Covid” ad una fase di espansione più normale, ed è coerente che gli indicatori di ciclo e quelli di sentiment di aziende e consumatori inizino a contrarsi. Il problema è che i segnali positivi dagli indicatori tipici delle fasi di espansione, come quella che ci attende visti i programmi di investimento privati e pubblici legati alle infrastrutture e alla transizione energetica, ancora non ci sono. La disoccupazione (al disopra dei livelli pre-pandemia) ed il livello della produzione industriale nelle economie avanzate indicano che la strada verso il “pieno recupero” è ancora lunga. E se consideriamo i colli di bottiglia in diversi stadi della “global supply chain”, le tensioni sui prezzi delle materie prime, l’incertezza sugli effetti dell’inflazione e la difficoltà di valutare l’impatto sull’economia mondiale della crisi del settore immobiliare cinese, con tutte le sue conseguenze economiche, finanziarie e sociali, la conclusione è che la strada, oltre ad essere lunga, è anche tortuosa.
Nelle ultime settimane è peggiorato il sentiment degli investitori. Fino a metà settembre abbiamo vissuto una situazione di “positività incondizionata”, con il susseguirsi di nuovi massimi storici per gli indici principali, anche se nei mesi estivi si è registrata una prima fase di rotazione dai temi ciclici a quelli più difensivi. Ma quando sono aumentate le tensioni sui prezzi, le banche centrali hanno iniziato a comunicare meno convinzione sui concetti di “transitorietà” delle pressioni inflazionistiche e di “necessità” di politiche monetarie ultra espansive “sine die”, i rendimenti obbligazionari hanno ripreso a salire e le implicazioni del rallentamento cinese hanno indotto ad una riduzione dell’ottimismo sulle prospettive dell’economia globale, il movimento di mercato si è trasformato in una rotazione da temi “growth” a temi “value” in cui le vendite hanno prevalso, ponendo le basi per la correzione iniziata nell’ultima parte del mese ed ancora in corso.
Non possiamo escludere un ulteriore peggioramento del sentiment, ed un conseguente aumento della volatilità delle asset class più rischiose, azioni in primo luogo. Pensiamo che il rallentamento in atto sia transitorio, ma che sia destinato ad avere un impatto nel breve periodo sulle attese sugli utili e su multipli e valutazioni aziendali, impattando negativamente i portafogli, in cui il peso delle azioni è aumentato negli ultimi anni, ed amplificando i movimenti di mercato.
Sulla base di queste considerazioni abbiamo deciso di ridurre significativamente l’esposizione alle azioni (dal 56 al 15%): abbiamo aumentato le coperture e liquidato il 10% del portafoglio azionario (per la prima volta in diversi mesi), aumentando la liquidità sui conti correnti dal 9 al 21%, con un costo opportunità dovuto ai rendimenti negativi su diverse valute che, al momento, ci sentiamo di sostenere.
In questa fase le fonti di rischio per il portafoglio modello provengono prevalentemente dalle divise, dalla duration negativa e dalle materie prime.
Nel portafoglio azionario abbiamo ridotto l’esposizione alla azioni americane (-21%), europee (-16%) ed emergenti (-5%), riducendo la componente lunga (-28%) ad aumentando quella corta (-14%). Abbiamo aumentato i peso di energetici (+10%), finanziari, consumer discretionary e consumer staples (+5% ognuno), e ridotto tecnologici (-11%), real estate e farmaceutici (-9% ognuno), industriali (-8%) e materiali (-4%). Nelle materie prime abbiamo sostituito la posizione lunga sul petrolio con una di pari entità sulle Carbon Emissions Allowances (le quote di emissione dell’Unione europea). La duration del portafoglio obbligazionario è passata da -1 a -2,5 anni, come conseguenza di un aumento della posizione corta sulle obbligazioni governative, passate da -10% a -21%. L’aumento della diversificazione valutaria rispetto all’euro, passata dal 63% al 70%, è dovuto prevalentemente ad un aumento del 10% dell’esposizione al dollaro americano.